3 dicembre 2018

Giovanni,  anziano pensionato di Piano di Sorrento,  viveva nel centro storico del suo paese, in uno di quei palazzi imponenti, addossati l’uno sull’altro a costruire quel caratteristico reticolo di stradine e vicoli. 

Di questi tempi, come tanti suoi compaesani, era alle prese con l’allestimento del presepe. Lo realizzava con passione, era grande e scenografico.

Sua moglie imprecava per il disordine, mentre tra i figli nessuno si prodigava a dargli una mano, anzi, sostenevano i borbottii della madre.

L’unica ad aiutarlo era la nipote prediletta, Chiara,  che adesso, a un mese dalla sua scomparsa, lo rievoca attraverso un intimistico “Amarcord presepiale”…

 

“ANCORA CON TE”  – ( Amarcord presepiale) – racconto

Mio padre  spalanca con un calcio la porta del salotto.

Il rumore fa sobbalzare tutti noi, chi intento a sorseggiare il caffè, chi alle prese con le stoviglie del pranzo domenicale.

Siamo arrivati da un paio d’ore a casa della nonna e papà non è stato fermo un attimo. Giusto il tempo di mettere qualcosa sotto i denti e poi si è alzato da tavola, distratto da chissà quali pensieri.

“Il caffè non lo bevi?”, gli ha chiesto mio zio.

“Più tardi”, ha bofonchiato lui, per poi allontanarsi.

Adesso è ricomparso con questo gran fracasso.

Mossi dalla curiosità, lo raggiungiamo.

E´ pieno di  buste e di pacchi impolverati.  Ha entrambe le mani occupate, così si fa strada tra la cantina e le altre stanze spingendo le porte con i piedi.

«Nino, ma che fai?», domanda la nonna.

«Il presepe, mamma. Faccio il presepe, non vedi?», le risponde lui, con fare risoluto.

La nonna storce il naso e mormora qualcosa tra i denti, ma mio padre non si lascia dissuadere.

Lui è così: caparbio, determinato, sempre convinto di quel che fa.

«Nun me par  o’ caso», Non mi sembra il caso,  puntualizza lei.

«’O presepio  s’adda’ fa’!», Il presepe si deve fare,  le risponde lui, secco.

Ha ripreso la frase del nonno.

Ogni anno, già dai primi di novembre, nonno Gianni trafficava tra la cantina ed il salotto, trasportando sughero, muschio, pietrine, staccionate, casette, rotoli di cartapesta, colla a caldo, fontane e cascate con motori elettrici.

Poi c’erano i pastori, tutti di creta. Imballati con cura ad uno ad uno.

Quando ero bambina, lo aiutavo a posizionarli tra gli anfratti di sentieri e grotticelle.

«Fai attenzione, Chiara!», si raccomandava lui.

Ero l’unica a  stargli accanto durante la preparazione del presepe.

Avevamo un legame speciale  noi due.

Ricordo con nostalgia quando mi prendeva per mano e insieme andavamo a fare lunghe passeggiate. Di questi tempi mi portava a vedere i presepi allestiti nelle chiese del paese.

Ci incantavamo ad osservare tutti i particolari, prendevamo idee e poi andavamo a comprare qualche nuovo pastore artigianale.

Fa strano rivedere quei  pacchi, adesso che lui non c’è più.

Tutti questi scatoli sono presenze che stonano con un’assenza non preannunciata.

Ci ha lasciati all’improvviso, giusto un mese fa.

Se ne è andato nel sonno, era la notte di Ognissanti. Sembrava dormisse sereno, ma il volto pallido, freddo e contrito ha rivelato l’eternità di quel riposo.

Io non ho pianto, nemmeno al funerale.

Sono fatta così.  Congelo le emozioni  in un fondale di ricordi; restano lì, finché qualcosa non le agita riportandole a galla.

Adesso sì, avrei voglia di piangere.

L’idea di fare il suo presepe mi ha colta alla sprovvista.

« ’O presepio s’adda’ ffa!», continua a ripetere mio padre, mentre rovista tra questi scatoli di ricordi.

Eppure non se n’era mai occupato, piuttosto dava man forte ai borbottii della nonna:

«Giuva’, chist’anno nun da’ retta, nun ‘o fa accussì  gruosso ‘o presepio!», Giovanni, quest’anno lascia stare, non lo fare così grande il presepe, gli diceva ogni volta che lo vedeva portare in casa tutto il materiale.

Nonno, però, restava in silenzio e continuava indisturbato il suo lavoro.

«Sient’ a me, nun te stanca’!», Ascolta il mio consiglio, non ti affaticare, insisteva lei.

In realtà, più che la preoccupazione per la stanchezza del marito, era il disordine caotico ad infastidire la nonna.

In effetti, per finire tutta l’opera, bisognava avere un salotto inagibile per diverse settimane.

Eh sì, il presepe del nonno era davvero grande. Occupava mezza parete e per fargli posto bisognava spostare il divano.

« Tu nun te stracqui ‘e ‘fa e’zeppole?», Tu non ti stanchi quando prepari le zeppole?, le rispondeva lui, con un sorriso beffardo.

“ ’O presepio s’adda ’ffa!», aggiungeva poi. La nonna, rassegnata, alzava gli occhi al cielo e si arrendeva.

E lui, pian piano, un pezzo alla volta, preparava tutto ad arte.

Ci metteva la pazienza e la passione.

Era bravo il nonno.

Mi sembra di rivederlo all’opera tra le quattro mura di questo salotto, dove di solito era lui ad armeggiare con sughero e cartapesta.

Rivedo anche me, bambina, quando mi divertivo ad aiutarlo. Insieme trascorrevamo interi pomeriggi.

«Chiara devi fare i compiti!», mormorava mia madre, ma io ero troppo presa dal mio ruolo di aiutante.

Era una tradizione per me, almeno fino a quando, nell’adolescenza, mi sono sentita già grande e ho iniziato a prendere le distanze dal mio essere bambina.

Così, non volendo, ho preso un po’ di distanze anche da lui.

Adesso che di anni ne ho venticinque, vorrei tanto non aver mai smesso di aiutarlo a fare il presepe.

Invece, man mano che crescevo, il nostro tempo insieme diminuiva. Le mie visite erano sporadiche, andavo ogni volta di fretta: gli amici, le partite a pallavolo, l’università.

C’era sempre qualcosa da fare.

Quando ci ritrovavamo, però, anche se nella fugacità di un rapido saluto, riaffiorava la nostra bella intesa. C’era uno scambio di sguardi complici, c’era il suo sorriso bonario. Lo abbracciavo e gli davo un forte bacio sulla guancia, quasi volessi compensare il mio “non esserci come una volta”.

Lui non me lo faceva mai pesare, però.

La nonna ogni tanto imprecava: «Nun t’fai vere’ cchiu’!», Non ti fai vedere più!

Il nonno non parlava, invece. Quando era lì, sorrideva, senza dirmi nulla.

Gli unici suoi rimproveri risalgono a un bel po’ di anni fa: a quando facevamo il presepe  insieme e io ne combinavo di tutti i colori.

«Chiara, fa’ a’brav!», Chiara fa la brava, mi esortava, ma era difficile obbedirgli.

Il salotto nelle fasi di allestimento era una Wunderkammer, una camera delle meraviglie. Le tentazioni per una bambina erano troppe e così finivo con lo spruzzare la bomboletta della neve sulla poltrona o con lo sparare la colla a caldo sulle tende.

E poi c’era il tuffo del pescatore.

Sì, il pastore con la lenza era destinato  ad immergersi nell’acqua del ruscello.

Era un rito, questo, da ripetere ogni anno, inutili le  ramanzine del nonno.

Sento così vicini questi momenti, nonostante sia passato tanto di quel tempo!

Il ricordo del nonno rivive nella confusione di questo salotto, tra la frenesia dello scarto di buste e pacchi.

Si son messi tutti all’opera: i miei genitori, la nonna, mio fratello, gli zii e persino Pietro e Gianni, i cugini sempre indaffarati.

Finora nessuno si era mai occupato del presepe.

“L’avresti detto, nonno? Il salotto è invaso dal tuo materiale e la tradizione va avanti anche senza te!”, mi rivolgo tra me e me a lui, come se potesse sentirmi.

Siamo ai primi di dicembre, se  fosse stato ancora qui, avrebbe già concluso il suo bel presepe.

Di solito, iniziava a darsi da fare appena arrivava novembre.

Quest’anno, invece, il mese di novembre è trascorso senza te“, continuo a pensare di potergli parlare.

«Sta venenn’ buon, eh?», Sta venendo bene, eh?, chiedeva, mentre costruiva e definiva il tutto.

Sembrava quasi di sentire il  “Te piace o’ presepe?”  defilippiano.

Un po’ gli somigliava al grande Eduardo, anche se non portava il baffetto ed era più in carne. Aveva, poi, le sue stesse movenze,  lo dicevano in tanti.

«Nun m’piace o’ presepe!», lo prendeva in giro mio padre.

Adesso, invece, eccolo qui, alle prese con tutto questo materiale per colmare in qualche modo il nostro  senso di vuoto.

Chissà, forse vorrà anche rimediare ad altro. Forse  vorrà esternargli  il suo grande affetto, quello che non è mai riuscito a mostrargli in tutti questi anni.

Lo teneva nascosto, impigliato  nei meccanismi contorti del suo carattere schivo.

Saranno stati anche i suoi modi bruschi; a volte lanciava sguardi di sfida e suo padre rispondeva sempre con severità a queste provocazioni.

Se con me il nonno è sempre stato affettuoso e benevolo, a lui hai mostrato la parte più dura.

Ricordo di un inverno in cui avevano litigato in modo furioso. Avrò avuto sedici o diciassette anni.

Quell’anno non avevamo trascorso  nemmeno le festività natalizie a casa dei nonni. Io, però, un pomeriggio,  li andai a trovare da sola.

Quando il nonno  mi aveva vista arrivare, i suoi occhi azzurrognoli si erano accesi di una luce gioiosa. Aveva il volto già solcato di rughe, i capelli un po’ diradati e grigi, ma quello sguardo così intenso lo aveva ringiovanito.

Voglio ricordarlo così, con gli occhi sorridenti.

Voglio portare con me  tutti i sorrisi vissuti insieme.

«Chiara, vieni ad aiutarci! Non t’incantare, a cosa stai pensando?», la voce di mio padre mi riporta alla realtà di oggi.

A cosa penso?

Penso che vorrei tanto poter trascorrere altro tempo con te, nonno…“, mi ostino a parlargli, come se potesse sentirmi.

Avanzo tra gli scatoloni, finché non trovo quello contenente i pastori. Lo apro ed inizio a scartare uno ad uno i vari personaggi di creta. Il primo è proprio il pescatore, quello che da piccola lanciavo nel ruscello.

“Chiara, fa la brava! Chiara …”

Sorrido. Stavolta è la sua voce a parlarmi.

Mariaelena Castellano