Non è stato facile trattare questo caso, sia per gli aspetti criptici di una vicenda delicata, sia per le relazioni affettive ad essa implicate. Ed è proprio sui sentimenti emersi in questa aggrovigliata trama che ho posto la mia attenzione, cercando di svelarne l’intensa autenticità. 

Per questo terzo ed ultimo appuntamento con i racconti di “Casa D’Arma” (per informazioni sulla serie cliccare QUI), oltre al riconoscimento all’Arma dei Carabinieri di Piano di Sorrento per la collaborazione tecnica, un sentito ringraziamento va anche ad una delle protagoniste della storia, “Luisa” (nome d’invenzione), per avermi lasciata entrare nello scrigno delle sue memorie, rendendomi partecipe di questa forte esperienza, in cui adesso potrete addentrarvi anche voi. 

M.C. 

NON MI LASCIARE”  – racconto

Martedì,  7 aprile 2015,  h. 11.30 

“Camminate dietro di me in fila indiana e fate attenzione alle macchine!”

Le parole di Luisa riecheggiano insieme al rumore del vento, ai suoi soffi incalzanti e piuttosto freddi.
Non sembrerebbe quasi di essere in primavera, nel giorno che segue il “Lunedì dell’Angelo”.

Oggi, di “angeli”, Luisa ne ha ben sei da sorvegliare.

Rallenta, si volta e con un rapido sguardo si accerta che siano tutti al seguito.

I suoi due figli, Michele e Simona, aprono la fila, seguiti da altri quattro bambini accolti dalla Casa Famiglia in cui  presta servizio come operatrice da tanti anni.

Ha appena portato tutti dal pediatra per un controllo e adesso è alle prese con il rientro per il pranzo.

A chiudere la fila, Anna, la madre di uno dei quattro bimbi, ospite anche lei della struttura.

Il gruppetto procede veloce tra le strade ed i vicoli del centro storico di Meta, incurante delle folate di vento, che sembra spingerli nella direzione opposta.

“Mamma, mi è andata la polvere negli occhi”, si lamenta la piccola Simona, coprendosi il volto con le mani.

“Un po’ di pazienza, siamo quasi arrivati”, la rassicura sua madre, mentre volge lo sguardo al cielo per scrutarne le incombenti  nubi.

Una coltre grigia, ravvivata a tratti dalla soffusa luminosità di un sole fioco.

Speriamo non inizi a piovere, pensa tra sé la donna. Aumenta il passo prendendo per mano sua figlia  e la piccola Marina, una bimba di cinque anni, arrivata da diversi mesi, a cui si è tanto legata.

In fondo, tutti i piccoli ospiti della Casa Famiglia è come se fossero un po’ figli suoi.

“Oh no, la scarpa!”, esclama Marina, mentre cerca di recuperare la ballerina con tanto di tacchetto, che le si è sfilata dal piede.

“Ecco qua, per fare la vanitosa, rischi anche di cadere!”, la riprende Luisa, sorridendole.

La bambina per tutta risposta si sistema i lunghi capelli scuri e sfodera una delle sue espressioni scanzonate.

Nella Casa Famiglia ha già conquistato tutti  con quel suo visino dolce e a volte un po’ imbronciato.

Anche il maresciallo Prati e il comandante Baschi si sono affezionati a lei.

“E’ arrivato lo zio comandante? Oppure oggi verrà lo zio maresciallo? Perché non vengono tutti e due?”, chiedeva impaziente, l’altro giorno, in attesa della visita di controllo delle forze dell’ordine.

Una situazione particolare, quella di Marina.

Luisa le sistema la scarpina per poi riprendere veloce il cammino, prima che il cielo plumbeo sfoghi la sua rabbia.

Continua a tenere per mano Simona e Marina. Dietro di loro Anna avanza con suo figlio, mentre gli altri tre bimbi procedono in fila indiana.

La strada  è stretta e quando transitano le auto, si accalcano tutti al muro. A un certo punto,  uno slargo sulla destra consente al gruppo di rallentare la marcia e disporsi meglio negli spazi.

“Aiuto!”, l’urlo di Anna irrompe improvviso.

Alla sua richiesta di aiuto  fa poi  seguito il grido di Luisa.

Dalla rientranza della carreggiata  un uomo strattona le borse delle due donne.

Pochi secondi, tanta confusione.

“Bimbi, state attenti, sotto al muro!”, grida con tutto il fiato Anna. Due donne, intanto,  sollevano Marina  per  tentare di portarla via. La bimba, però, riesce a tener salda la mano di Luisa.

“Ziaaa! Non mi lasciare! Ziaaa…”

No, Luisa non la lascia.

La sua mano resta  stretta a quella di Marina. Forte di questo contatto, insegue i fuggitivi per diversi metri, finché l’uomo, un rom, non la spinge con forza gridandole: “Lascia la bambina o ti sparo!”

La donna si ritrova così riversa per terra  insieme alla sua borsa, il cui presunto furto avrebbe dovuto distrarla dal sequestro.

Nelle mani regge una delle due scarpine di Marina, che le si era sfilata di nuovo.

Luisa prova un gran smarrimento, poi alla paura subentra la cognizione dello stato emergenza e la necessità di prendere coraggio per agire.

Non ricorda di aver  visto nessuna pistola, probabilmente l’uomo l’ha soltanto minacciata per intimorirla.

Si rialza e con un rapido sguardo verifica l’incolumità degli altri bimbi. C’è Anna con loro, si sono riversati tutti nel piccolo slargo da cui erano sbucati i tre malfattori.

Luisa corre più che può, la scarpina ancora stretta nella mano, ma  la sua piccola Cenerentola è già distante. Intravede il gruppo mentre entrano in un auto parcheggiata nei pressi della stazione Circumvesuviana.

“Marina! Marina, non aver paura, sono qui! Fermatevi!”

A nulla valgono le sua grida, la macchina sfreccia all’impazzata verso la Statale Sorrentina 145, in direzione Napoli.

Non c’è un attimo da perdere, compone veloce il numero di Casa d’Arma.

“Caserma dei Carabinieri di Piano di Sorrento”, le risponde una voce squillante.

“Sono Luisa della Casa Famiglia, hanno rapito Marina! Avvisate il comandante! Fate presto!”

“Pronto? Pronto, chi parla?”, poche parole precedute dal ticchettio della linea interrotta.

Meglio chiamare direttamente il luogotenente.

Luisa scorre la rubrica, finché non trova il recapito di Armando Baschi.

Mentre prova a contattarlo, un giovane le si avvicina.

“Signora, non so cosa sia successo, ma ho preso il numero di targa dell’auto in fuga!”

“Dio ti benedica!”

Esistono ancora brave persone sulla faccia di questa Terra, medita la donna, mentre gli altri passanti continuano il loro tragitto, incuranti dei bambini piangenti, delle urla e del loro disperato bisogno di aiuto.

Il comandante le risponde al secondo squillo.

La donna è un fiume in piena: descrive con rapidità i fatti e fornisce tutte le informazioni possibili, il numero di targa, il modello dell’auto, la descrizione dei tre malviventi.

Baschi aveva avuto già altre segnalazioni dalla Statale Sorrentina e si  precipita subito sul posto.

Luisa tira un sospiro di sollievo.

Quel che poteva fare, era stato fatto.

L’urgenza di agire  lascia ora il passo all’ansia.

Torna verso gli altri, ma barcolla.

Si appoggia a un muretto, mentre cerca di confortare le paure dei bambini.

Attende impaziente l’arrivo  di suo marito, avvisato dell’accaduto subito dopo la telefonata al comandante.

Eccolo, finalmente è qui.

Si aggrappa con più forza al muretto, ma non riesce a sorreggersi.

Il vuoto, nulla più.

Perde i sensi e si accascia per terra, mentre i sibili del vento sembrano sussurrarle la richiesta di aiuto della piccola Marina: “Zia, non mi lasciare! Ziaaa…”

 

Un anno prima, aprile 2014.

“Lei è Luisa e questi sono i suoi due bimbi, Simona e Michele“.

Suor Carmela stringe la mano della piccola Marina e prosegue il giro delle presentazioni per ambientarla in quella che per un po’ di tempo sarà la sua dimora.

La bambina scruta tutti con fare timido, avanza con lentezza in quei grandi spazi nuovi, così estranei che le risulta strano pensare di dover restare a dormire lì.

“Hai sonno, piccola? Sei stanca?”, le chiede Luisa.

Lei muove la testa. No, non è stanca, è solo stordita da tutta la confusione degli ultimi eventi.

“Allora vieni qui, guarda che bei giochi ci sono!  Vieni a giocare con Simona e con gli altri bimbi!”

Marina si avvicina con ritrosia, ma dopo pochi minuti si lascia distrarre dalle bambole, dalle costruzioni e dalle nuove compagnie.

“Sono arrivati i carabinieri!”, annuncia una giovane suora.

Il comandante Baschi e il maresciallo Prati, appena avuta la notifica dell’arrivo della bambina,  giungono nella Casa Famiglia per un primo sopralluogo di verifica dei fatti.

Marina è stata sottratta alla famiglia d’adozione.

La madre biologica, una romena senza dimora, l’aveva affidata alla famiglia del presunto padre, un imprenditore  del casertano con cui aveva avuto una relazione clandestina.

L’uomo, sposato e già padre di tre figli, dopo una prima fase di trambusto familiare dovuto a questa rivelazione improvvisa, aveva alla fine  riconosciuto la piccola.

Sua moglie, inizialmente restia,  si era man mano affezionata a Marina, l’aveva accolta in casa e la accudiva come se fosse una sua figlia.

L’ombra della vera madre, però, non  usciva di scena e l’ambiguità di questa trama di rapporti celava anche interessi economici e giri di denaro.

L’imprenditore era davvero il padre di Marina?

I nodi venivano pian piano al pettine. Una denuncia anonima aveva innescato l’intervento del Tribunale dei Minori e dei servizi sociali.

Il test del DNA, a cui era stato  quindi sottoposto l’uomo, aveva posto fine ad ogni dubbio, negandone la paternità.

La piccola era stata dunque allontanata sia dalla madre naturale, sia dalla famiglia affidataria per trovare riparo in una struttura di accoglienza, in Penisola Sorrentina.

Con tanto di dovuta sorveglianza dall’Arma, messa al corrente della particolare situazione e della possibilità di una rivalsa da parte di queste persone, tenute dunque all’oscuro della destinazione.

“Perché sono arrivati i carabinieri? Ci sono i ladri?”, chiede Marina, quando scorge Baschi e Prati, impegnati a chiedere informazioni alla Superiora della Casa Famiglia.

“Non c’è nessun ladro, piccola – le risponde il maresciallo  Prati – Io e il comandante siamo due amici di Suor Carmela e veniamo spesso qui, a trovare i bimbi!”

“Ah … e come mai? Non dovete pensare a catturare i ladri?”

“Non solo! Pensiamo anche ai bambini, dobbiamo assicurarci che stiate tutti bene!”

“Ho capito. Allora vi vedrò spesso?”

“Sì.”

“Io mi chiamo Marina. Voi come vi chiamate?”

“Io sono il maresciallo Gianni Prati e lui è il comandante Armando Baschi“.

“Io il mio cognome non lo so, cioè, non ne sono sicura … però non mi ricordo più i vostri nomi!”

“Non preoccuparti, noi ci ricorderemo che tu ti chiami Marina!”

“Allora vi chiamerò zii. Lo zio comandante e lo zio maresciallo, va bene?”

“Va benissimo!”

 

I giorni trascorrono sereni. Marina s’integra con facilità e sa farsi voler bene.

Si è affezionata alle suore, alla presenza amorevole di Luisa e anche alle visite dello “zio comandante” e dello “zio maresciallo”.

Ha  legato con gli altri bambini, in particolare con Simona, che ha la sua stessa età;  quando giocano insieme le due bimbe si appartano in un mondo tutto loro, fatto di chiacchiere e fantasie.

 

Martedì 7 aprile 2015

“Mamma, ho paura per Marina! Non la rivedrò più?”

Luisa accarezza il capo della figlia, senza parlare. Si alza con lentezza dal divanetto dove si era accomodata, in una delle grandi sale della Casa Famiglia.

La  Superiora è al telefono con un brigadiere, attende con ansia notizie da Casa d’Arma. Le altre suore cercano di distrarre i bambini, di tenerli impegnati in qualche attività ludica, ma si respira una gran tensione, specie nei piccoli volti di chi aveva assistito al rapimento.

Luisa inizia a camminare con fare nervoso. Una delle suore le suggerisce di sedersi, ma la donna avverte una grande agitazione e non riesce a starsene ferma ad attendere notizie. Vorrebbe poter fare qualcosa, smaterializzarsi da quella sala per trovarsi accanto a Marina e salvarla.

“Zia, non mi lasciare!”

Questa frase rimbomba nei suoi pensieri, mentre l’espressione spaventata della piccola le compare come un fermo immagine.

“Zia non mi lasciare!”.

“E invece ti ho lasciata e adesso chissà dove sei e dove ti porteranno…”

A consolarla è la considerazione  che, con ogni probabilità, a rapirla saranno stati i genitori affidatari oppure sua madre.

“Avrebbero potuto chiedermi di vederla, di stare un po’ con lei, non lo avrei impedito. Ma… rapirla! Perché? Chi avrà escogitato questo piano? ”

Luisa non si dà pace.

“Come facevano a sapere che saremmo passati di lì? Ci stavano seguendo! E io non mi sono accorta di niente …”

La voce squillante ed emozionata di Suor Carmela mette fine ai tormentati pensieri della donna: “Ha chiamato il comandante Baschi! Li hanno fermati e hanno salvato la bambina!”

Un boato di giubilo anima il salone, i bimbi esultano, le suore tirano un sospiro di sollievo.

“Luisa, stanno venendo a prenderti con una pattuglia: la bambina è impaurita, quindi serve una presenza di conforto”, esclama poi la Madre, con un tono ancora agitato.

“Io ti raggiungo il prima possibile, il tempo di contattare la psicologa”, aggiunge.

In pochi minuti Luisa si ritrova in una delle volanti dell’Arma, a sfrecciare verso la caserma a gran velocità.

Il maresciallo Prati è seduto sul bordo del finestrino e agita la paletta per indicare lo stato di emergenza.

“Ecco, se non muoio oggi, non morirò più”, farfuglia tra sé la donna, spaventata dalla marcia spedita del veicolo.

Troppe emozioni tutte insieme. Cerca di mantenere la calma, ma non può fare a meno di sentirsi squieta per tutto il tragitto.

Quando finalmente arrivano a destinazione, Prati nota la sua tensione e l’aiuta a scendere dall’auto, facendole pian piano strada verso l’ufficio del luogotenente.

Nel tragitto incrocia qualche collega che si complimenta con lui dell’azione andata a buon fine.

Il maresciallo ripensa all’accaduto: Baschi, appena contattato da Luisa,  si era precipitato sul posto con gran rapidità.

Al momento della telefonata, si trovava già a Meta, ma senza auto di servizio. Proprio in quel frangente, però, passava nei paraggi una volante della vigilanza locale.

Il comandante era dunque  salito su quell’auto per farsi accompagnare  a tutta velocità verso la galleria Privati, dove nel frattempo aveva già indirizzato alcuni dei suoi uomini.

Gianni Prati era proprio in quella pattuglia.

Prima ancora della segnalazione di Luisa, avevano infatti ricevuto diversi reclami in merito a un auto che sfrecciava verso la galleria, effettuando anche sorpassi azzardati e tamponamenti.

Un’altra pattuglia da Castellammare di Stabia aveva dunque bloccato il transito della galleria, mentre un elicottero sorvolava sulla zona interessata.

Al giungere di Baschi, i sequestratori erano stati appena fermati con uno speronamento.

Lo “zio maresciallo” si era dunque avvicinato all’auto e, intravista, la bambina, l’aveva fatta scendere.

La piccola, rincuorata,  lo aveva abbracciato, mentre i curiosi fotografavano la scena.

Adesso Marina è invece tra le braccia confortevoli di Luisa.

“E’ tutto passato, piccola”, le sussurra la donna, provando a capacitarsene anche lei.

“Signora, il comandante la attende”. La voce squillante del brigadiere Pasquale Petracchi fa sobbalzare Luisa, che farfuglia: “E la bambina?”

“Marina nel frattempo farà un bel disegno! Ecco qua, guarda quanti colori, piccola!”, interviene Prati.

Luisa viene dunque condotta da Petracchi al cospetto del comandante.

Nella stanza ci sono anche le due donne, che qualche ora fa avevano tentato di rapire Marina.

Luisa le identifica all’istante, mentre per il riconoscimento del terzo sequestratore, il rom che l’aveva spinta e minacciata, le vengono mostrate delle foto, poiché l’uomo è in stato di fermo in una cella.

Uno strano trio, questo, formato  a quanto pare dalle due madri e dal compagno della romena.

La madre affidataria appare  raggelata in un austero silenzio, mentre quella biologica piange col capo chino.

Nel vederle Luisa rivive tutta la scena, avverte di nuovo la paura addosso.

Riosserva le due madri, ognuna vittima in modo diverso delle proprie fragilità, e prova anche  una gran pena per loro.

In fondo, quello che avevano inscenato era un gesto di gran disperazione.

Dopo aver fornito tutte le informazioni necessarie al comandante, Luisa torna dalla piccola Marina.

“Guarda cosa ti ho riportato?”, le sussurra riabbracciandola.

“La scarpetta!”

“Sì, sì. Da oggi ti chiamerò Cenerentola! Vieni qui, dammi il piedino.”

“Aspetta, zia, guarda prima il disegno che ho fatto insieme allo zio maresciallo. Ti piace?”

“E’ bellissimo, che brava che sei!”

“Devo solo cancellare queste linee qui sotto”, aggiunge la bambina.

Luisa, invece, vorrebbe cancellarle tutti i disagi subiti finora.

Vorrebbe saperla serena e felice, sempre.

 

(Tre anni dopo)

“Come è andato il primo giorno di scuola, Simona?”

“Bene, mamma. Guarda, abbiamo scritto un tema sull’amicizia!”

“Brava, hai fatto anche un bel disegno!”

“Sì, siamo io e Marina. Ho parlato di lei nel tema.”

Luisa sorride e cerca di camuffare quel sottile senso di malinconia da cui si sente invasa quando rimugina sulla piccola Marina.

Sua figlia continua a parlarle, ma lei è alle prese con una fitta trama di pensieri, con un groviglio caotico di ricordi.

Nella sua mente si susseguono le istantanee dei bei momenti vissuti con la bambina: i momenti di gioco tra lei e Simona, i sorrisi, gli abbracci.

Riaffiorano poi anche le memorie inquietanti, quelle del vuoto sotto i piedi quando ti senti vittima di un agguato, quando all’improvviso comprendi che in un attimo ti può cambiare la vita perché non c’è limite alla follia umana.

Luisa rivive per l’ennesima volta quella ventosa mattina d’aprile, prova ancora quel gran senso d’impotenza, di paura, di ansia. Rivede quei tre volti minacciosi e cupi, rivede l’espressione sgomenta di Marina

“Mamma! Mi ascolti?”

“Sì, scusami … dimmi.”

“Quando possiamo rivedere Marina? E’ passato tanto tempo dall’ultima volta…”

“Hai ragione, è da un po’ che non la vediamo. Dobbiamo organizzarci al più presto per andare a trovarla.”

La bambina era stata adottata qualche settimana dopo il sequestro.

Si era trasferita dalla nuova famiglia, in un’altra regione, per iniziare così un nuovo ciclo di vita,  con la possibilità di lasciarsi tutto il suo passato burrascoso alle spalle.

Luisa ne era felice, ma al tempo stesso avvertiva una velata nostalgia e un sentimento di rimpianto.

Ancora oggi, che di anni ne son trascorsi già tre, a volte le vien da pensare  che avrebbe potuto evitare di far allontanare la bambina.

Magari adottandola lei. Sì, le avrebbe fatto condividere l’infanzia insieme alla sua Simona.

O forse no. Forse per Marina era giusto andasse così.

“Me lo prometti, mamma?”

“Certo, andremo a trovarla presto, te lo prometto!”

“Mamma…”

“Dimmi.”

“Secondo te, Marina è felice?”

“Certo! Dobbiamo essere tutti felici, tesoro. Anche quando le cose non vanno come vorremmo, dobbiamo sempre provare ad essere felici. E’ la vita che lo chiede.”

Mariaelena Castellano