ESTRATTO DAL ROMANZO “L’UOMO CON LE ALI DI CARTA” DI M.CASTELLANO

(Per visionare la trama, consultare la sezione “Romanzi” del blog)

 

Cap.1.   (Poggioritana)     

All’imbrunire

Un sole morente dispensa gli ultimi tagli di luce dal cielo di Poggioritana.

Al sopraggiungere della sera, Gustavo si fa particolarmente smanioso: pur avendo superato da qualche anno la mezza età, il buio, il silenzio e la solitudine delle ore notturne gli destano un gran timore.

Apre la vecchia imposta di legno e si trascina fino alla stretta balconata che circonda interamente l’ultimo piano della villa. Calpesta con attenzione le vecchie maioliche in cotto, alcune traballano al suo passaggio.

Prima di affacciarsi, resta attaccato con le mani al muro perimetrale in pietra viva sagomata; lo accarezza, ne percepisce la porosità centimetro dopo centimetro. Quindi, vi appoggia la schiena e volge lo sguardo al panorama.

Vorrebbe avvicinarsi alla ringhiera per contemplare meglio quel paesaggio zitto, grande e vuoto come la sua casa. Prova a scostarsi dalla parete e ad allungare un po’ le braccia verso il tubolare di ferro sbeccato e arrugginito.

Ha un momento di esitazione, cede al consueto senso di vertigine e non avanza.

I suoi occhi tristi si perdono nell’oscurità in cui è immersa l’ampia vallata del paese. Il sole è andato via, caduto tra le cime frastagliate lì davanti; qualche leggero bagliore s’intravede un po’ a destra, dove sorgono piccoli gruppi di case rurali.

Lo sguardo di Gustavo va in alto per inseguire lo scintillio delle stelle. Le ammira come se le vedesse per la prima volta, ma neanche questa meravigliosa scoperta basta a calmarlo.

Ripensa con nostalgia ai suoi genitori, scomparsi ormai da tempo. Vorrebbe averli di nuovo con sé per sentirsi al sicuro, protetto dal resto del mondo.

Anche oggi, con i suoi cinquantaquattro anni, la chioma brizzolata, i primi acciacchi alle ossa e le rughe incassate nel viso, Gustavo resta un bambino bisognoso di continue attenzioni. Il suo corpo, se pur non così avanti negli anni, è già malandato, ma custodisce dentro di sé un’anima ingenua, a cui basta un nonnulla per approdare a una disarmante follia visionaria.

La realtà si anima, allora, delle più intricate fantasie, come in questa placida notte di inizio giugno, dove le stelle gli raccontano la nuova dimora dei suoi cari. Le osserva ancora per qualche minuto, finché il solito tremolio agli arti non lo persuade a rientrare in camera.

Bacia la foto di sua madre, inquadrata ed esposta sul comodino, quindi si corica nel suo grande letto in legno d’acero. Fatica, però, a prender sonno. La penombra della camera lo inquieta; ha caldo, si scopre, poi avverte brividi di freddo, si ricopre. Scalcia, muove le braccia, si gira e rigira. Poi, si muove sempre meno, chiude gli occhi, si volta su un fianco e, finalmente, scivola nel riposo della notte.

 

Cap.2.    (Poggioritana)

Il risveglio

I primi bagliori di luce s’insinuano tra le persiane della camera da letto; il cielo, a poco a poco, sta schiarendo. Questa mattina, Gustavo sente più che mai il peso di un corpo imbambolato. Si alza a fatica e raggiunge la veranda per ammirare lo spettacolo dell’alba.

Respira a pieni polmoni l’aria frizzante e azzurrina, poi allunga le braccia, gira il collo, fa dei piccoli saltelli; apre e chiude le mani, disegna dei cerchi con le gambe. Di solito è con questi goffi movimenti ginnici che recupera le forze, ma non stavolta.

Rientra in camera, vaga freneticamente intorno al letto, farfuglia sillabe sconnesse. Nei momenti di agitazione, le capacità linguistiche, così faticosamente acquisite negli anni, gli vengono drasticamente meno e si ritrova a modulare suoni monotoni e uniformi, senza riuscire a esprimere nulla.

Continua a muoversi, fa scatti veloci, è nervoso. Coordina sgraziatamente le parti del corpo, le braccia ciondolano e il passo è instabile. Man mano, si sente sempre più dominato da un senso di vertigine, poi avverte un gran mal di testa e la nausea. L’equilibrio manca, ha difficoltà a restare in piedi: quasi senza rendersene conto, crolla come una torre di carta.

Allarmata dai rumori, Rita si precipita in camera: Gustavo è steso sul pavimento, privo di sensi e con il volto pallido. Lei lo schiaffeggia per rianimarlo, fino a fargli riaprire gli occhi, ma lo sguardo è appannato, lontano.

«Gustavo, mi senti? Che hai?» gli chiede, impaurita.

«Ma…male,  male… Ho paura…» risponde lui, in stato confusionario.

«Non preoccuparti, tutto passa. Adesso cerca di alzarti, così ti metti sul letto. Coraggio, su!» esclama la donna aiutandolo a coricarsi.

«Vado a prenderti un po’ di acqua e zucchero» gli sussurra, poi, con dolcezza.

Gustavo si sente rasserenato. Non riesce a risponderle, ma le sorride con quella sua aria bonaria.

Rita si precipita in cucina e, prima di preparargli la bevanda, avvisa il marito dell’accaduto.

«Dovremmo avvertire la signora Sofia» afferma lui, senza nascondere una certa apprensione.

«Prima vediamo cosa dice il medico, magari si tratta di un semplice malore.»

«Secondo me, sarebbe meglio chiamare anche sua sorella…»

«No, meglio di no. Sai com’è fatta la signora Bertini. Farà di tutto per portarselo a Roma» replica Rita con tono fermo.

«Sarebbe il caso.»

«Giovanni, ma che dici? Gustavo ha qui il suo mondo e tutte le sue abitudini!»

«Non potremo accudirlo per sempre, siamo anziani, ormai.  E poi, questo posto è troppo isolato…»

«Basta con queste chiacchiere! Telefona al medico, piuttosto.»

Rita sa bene che il marito non ha tutti i torti, ma la sola idea di avere a che fare con Sofia Bertini la innervosisce.

«Quella donna non è mai stata presente per Gustavo e da ragazzina si burlava di lui» mugugna quasi tra sé.

«Ancora con questa storia? Sono passati tanti anni e tu continui a rivangare queste cose!» protesta Giovanni.

«Eh, certe cose non si dimenticano!»

«Va bene, da ragazza la signora Sofia non è stata granché gentile con suo fratello, ma adesso è acqua passata.»

«Eh, la fai facile tu! Adesso, poi, non lo pensa proprio. Ha la sua bella vita a Roma, lei!»

«Ti ricordo che ha tentato più volte di portarci anche Gustavo a Roma, ma nemmeno questo va bene per te.»

«Infatti. La signora Sofia non può portarlo via da qui. Sua madre non glielo avrebbe mai permesso. Ah! Quando era in vita la signora Aurora Contassi, era tutto diverso: lei sì che gli voleva un gran bene a Gustavo.»

«Anche la signora Sofia gliene vuole, è sua sorella.»

«Se davvero gli vuole bene, che venisse a trovarlo più spesso! Altro che portarlo a Roma: deve rispettare la volontà di sua madre. La signora Aurora ha lasciato la città per crescere suo figlio in un ambiente salubre, lontano dal caos. La vita di Gustavo è qui, a Poggioritana» incalza Rita, gesticolando con gran animosità.

«Sei la solita cocciuta, non ha senso parlare con te. Tanto, hai sempre ragione tu» protesta l’uomo, allontanandosi.

«Pensa a chiamare il medico» lo ammonisce lei, prima di recarsi in cucina.

È così affezionata a Gustavo che non riesce a fare a meno di essere iperprotettiva; gli ha voluto bene da subito, da quando era appena un ragazzo fragile e mingherlino.

Negli anni si è occupata di lui come di un figlio e questo impegno le ha consentito di dare uno scopo a un’esistenza che non ha mancato di dispensarle grandi sofferenze.

Giunta in cucina, mescola lo zucchero nell’acqua per Gustavo. Quando entra nella sua camera, però, lui già dorme; gli rimbocca le lenzuola, poggia la mano sulla sua fronte, è fresca, non ha certo febbre; gli accarezza il volto che finalmente ha ripreso colorito.

L’uomo ronfa beato e lei è già più serena.

(…)