Pubblicato nel 2006, “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery si rivela da subito una sorpresa editoriale, vantando oggi oltre 2 milioni di copie vendute e ben 50 ristampe. Pertanto, quando mi addentravo tra gli scaffali delle librerie alla ricerca di nuovi titoli, immancabilmente spuntava un volume dalla copertina azzurrognola con la foto di una ragazzina dall’aria pensierosa e, sullo sfondo, il disegno di un elegante portale ligneo.

“Prima o poi, lo comprerò”, mi dicevo ogni volta. E, invece, anche se incuriosita per la crescente notorietà del romanzo, non mi decidevo mai ad acquistarlo. La trama non mi intrigava particolarmente e, chissà perché, l’immagine della ragazzina mi dissuadeva; diciamo che avrei preferito una scelta più sobria, senza sovrapposizioni fotografiche. Ebbene sì, quando scelgo un libro, spesso mi lascio condizionare anche dalla sua copertina!

Poi, un giorno, nei primi di gennaio di qualche anno fa, il destino o il caso, che dir si voglia, ha deciso per me. Ero in libreria, in versione “Befana”, per scegliere dei titoli da regalare ai miei due figli per l’imminente Epifania, quando mi balenò l’idea di tornare un po’ bambina e rivivere di nuovo la sorpresa di un pacco da scartare. Quindi, avrei acquistato un libro anche per me; non uno qualsiasi, però, bensì uno speciale, da lasciar scegliere alla magia dell’Epifania. Così, mi sono avvicinata alla scaffalatura dei romanzi e, a occhi chiusi, ho preso un volume a caso, per poi farlo impacchettare alla cassa, senza cedere alla tentazione di dare prima una sbirciata.

Immaginate la mia sorpresa quando mi sono ritrovata tra le mani il libro azzurrognolo con impressa l’immagine della ragazzina!

Ho letto “L’eleganza del riccio” nel giro di pochissimi giorni, o meglio l’ho divorato: la Befana non sbaglia mai. Ho amato sin dalle prime pagine la raffinatezza letteraria di questo scritto, pervaso da un sofisticato lirismo narrativo, talvolta intriso d’ironia. Pagina dopo pagina, mi sono lasciata trasportare nel lussuoso condominio parigino, al numero 7 di rue de Grenelle e quasi mi pareva di vedere dinanzi a me i vari personaggi, delineati alla perfezione, nel carattere, come nell’aspetto.

La trama non è incalzante, pochi gli intrecci, quasi nulli i colpi di scena, eppure “L’eleganza del riccio” sa conquistare il lettore. E´ un romanzo che seduce e non soltanto grazie alla sua prosa amena: Muriel Barbery ci conduce abilmente nella complessità dei pensieri delle due protagoniste, nel loro affascinante dualismo narrativo, così denso di significati e di punti riflessivi.

Renée Michel, cinquantaquattro anni, vedova, è la portinaia del palazzo al numero 7 di rue de Granelle, dove vive con il suo gatto, rintanata nel piccolo locale al piano terra. Dinanzi ai benestanti condomini appare sciatta, scontrosa e poco incline alla cultura, così da rientrare nell’archetipo tradizionale del ruolo di portinaia, camuffando la sua vera essenza intellettualistica e sopraffine. Renée, difatti, è un’autodidatta e, accanto ai vasti saperi accumulati negli anni, vanta un’anima sensibile come poche, capace di cogliere la bellezza e di estrapolarla dalle banalità e dalle efferatezze del quotidiano.

In uno dei lussuosi appartamenti del numero 7 di rue de Granelle vive anche la dodicenne Paloma, figlia di un ex-diplomatico. Dotata di un grande acume intellettivo, è insofferente alla realtà vuota di contenuti da cui è circondata e condanna il grigiore di un mondo privo di valori, distratto com’è dalle convenzioni e dai beni materiali. Paloma non vuole far parte di questa realtà mediocre e premedita di suicidarsi nel giorno del suo tredicesimo compleanno. Forse, con questo suo gesto riuscirà a scuotere la superficialità divagante che le sta intorno; forse, così facendo potrà esorcizzare il torpore e la frivola ottusità di persone vuote, imprigionate nelle apparenze e incapaci di trovare la vera bellezza.

A dissuadere Paloma dalle sue intenzioni sarà la conoscenza di madame Michel; una conoscenza fortuita e mediata dall’arrivo di un nuovo condomino, il signor Kakuro Ozu, un ricco giapponese, un garbato gentiluomo non più giovane, il solo in grado di penetrare nelle interiorità disincantate delle due protagoniste. Ozu porta con sé la raffinatezza e i modi pacati della cultura orientale, di cui a ben vedere sembra essere pervasa anche la narrazione della storia, con i suoi ritmi lenti e meditativi.

Renée, affascinata com’è dalla cultura giapponese, dinanzi al signor Ozu non riesce più a nascondere la sua reale essenza, emergendo pian piano dalla corazza, o meglio dai suoi aculei:

“Fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.”

Così Paloma descrive la stravagante portinaia del suo condominio. Le due protagoniste, così diverse, ma al contempo così simili, si scrutano a vicenda, dapprincipio diffidenti, per poi riconoscere di essere legate l’una all’altra dalla stessa affinità emotiva, che dà origine a un forte sodalizio amicale.

Nel 2009 “L’eleganza del riccio” è stato anche trasposto in film. Una scelta coraggiosa quella dell’allora appena ventottenne regista Mona Achache. Già di per sé, il passaggio da un romanzo alla pellicola nasconde molteplici insidie; in questo caso, poi, dove le pagine narrate si nutrono di lunghe dissertazioni filosofiche, la sfida era ancor più complessa. Eppure “Il riccio“, questo il titolo del film, non delude.

Non deludono le ambientazioni scenografiche e, soprattutto, non deludono le riuscite interpretazioni dei personaggi. Josiane Balasko, nelle vesti di Renée, e la giovanissima  Garance Le Guillermic, che presta il volto a Paloma, rispondono fedelmente all’immaginario fornito nel testo, di cui il film recupera anche la raffinata intensità espressiva, riuscendo a far emergere quell’intricato e fascinoso fluire di pensieri:

“Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. E´ come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai. (…) D’ora in poi, per te, andrò alla ricerca del sempre nel mai. La bellezza, qui, in questo mondo.”

M.C.