In età tardo antica, mentre nell’area orientale dell’Impero la sacralità è celebrata dalle sontuose icone bizantine, in Italia e nel Mediterraneo occidentale, con l’affermazione del cristianesimo, si diffonde una produzione artistica indicata come “paleocristiana”, dal greco παλαιός, «antico», in riferimento al periodo più arcaico della nuova religione, tra  II e VI secolo. 

Il linguaggio paleocristiano non si differenzia da quello della Roma tardo imperiale, tant’è che una stessa bottega può realizzare opere sia cristiane, che pagane. L’elemento di novità consiste piuttosto nell’iconografia, definita da studiate simbologie che richiamano i contenuti della dottrina senza rivelarla in maniera evidente, poiché inizialmente il cristianesimo è malvisto dalle autorità dell’impero. 

Un significativo riconoscimento avviene nel 313 d.C., quando con l’Editto di Milano l’imperatore Costantino concede la libertà di culto a tutte le religioni, ponendo così fine agli atti persecutori(*) dei decenni precedenti.

Nel 380, inoltre, l’imperatore Teodosio proclama il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, confermandone così la crescente rilevanza pubblica, nonché culturale.

I PRIMI EDIFICI CRISTIANI

Una delle prime e più evidenti conseguenze della legittimazione del cristianesimo si riscontra nell’innalzamento dei primi edifici di culto, sorti a partire dal IV secolo. 

Nei primi tempi, invece, gli incontri delle comunità si svolgono nelle case. Si tratta di abitazioni che mantengono il carattere privato e la conformazione dell’edilizia residenziale, limitandosi a destinare alcune sale ai rituali religiosi. Ad esempio, l’ambiente del battistero, utilizzato per il sacramento del battesimo e caratterizzato dalla presenza di una vasca per l’immersione.

Tra il IV e il V secolo il battistero passa dalla tipologia della stanza privata a quella di costruzione a sé stante, riservata alla sua specifica funzione del rituale battesimale. L’edificio, in genere decorato da cicli pittorici e musivi, si distingue per la scelta della pianta centrale e del soffitto voltato.

Un’altra tipologia architettonica paleocristiana, diffusasi a partire dal II secolo d.C., è costituita dalle catacombe, aree di sepoltura  consistenti in lunghi cunicoli sotterranei situati a più livelli. Il nome deriva dalla denominazione di un cimitero posto lungo la via Appia, in una zona in  prossimità di Roma chiamata Ad catacumbus, “presso le grotte”.

Il credo cristiano è fondato sul ricongiungimento del corpo all’anima nel giorno del Giudizio Finale e, pertanto, rifiuta la cremazione e introduce l’inumazione dei defunti, per preservarne più a lungo le spoglie.

Da qui l’esigenza delle catacombe, che oggi ci offrono anche un riscontro sociale dei primi cristiani attraverso la differenzazione delle tipologie sepolcrali.

I loculi, nicchie rettangolari disposte a file,  ospitano le tombe più modeste, destinate ai ceti meno abbienti. Invece, per le classi più elevate si dispone la costruzione di cubiculi, intere camere spesso dedicate a più membri di una stessa famiglia, dove trovano posto gli arcosoli, sepolture internate nella parete e coronate da nicchie arcuate o, talvolta, rettangolari.

Tra il III e il IV secolo, in base alle disposizioni normative romane, le catacombe vengono collocate al di fuori delle mura urbane e assumono una maggiore rilevanza, specie se avvalorate dalla presenza di sepolture di martiri.

Tuttavia, nei secoli successivi questa tipologia sepolcrale andrà scomparendo, a causa delle mutate esigenze di ambito politico ed economico.

LA BASILICA

A partire dal 313 d.C., una volta ottenuta la libertà di culto, i primi cristiani necessitano di una tipologia architettonica specifica, da destinare alla celebrazione dei propri rituali liturgici.

Si passa, così, dallo spazio intimo e privato della domus all’ambientazione pubblica e ufficiale dellabasilica.

La nomenclatura rimanda all’edificio romano adibito all’amministrazione della giustizia e degli affari pubblici, adesso utilizzato come modello di riferimento per il nuovo edificio cristiano.

La basilica romana viene dunque preferita al tempio, onde evitare contaminazioni pagane. Inoltre, i cristiani necessitano di un edificio ben più ampio, poiché a differenza degli antichi culti greco-romani, celebrati all’aperto, i rituali della nuova religione prevedono la partecipazione dei fedeli all’interno dell’edificio sacro.

Tuttavia, nel riprendere la struttura basilicale dei Romani, si effettuano diverse modifiche: la copertura, per esempio, non è più costituita da una volta a botte, ma da un soffitto a capriate; lo spazio principale resta quello di una sala rettangolare molto lunga, ma l’entrata principale viene spostata dal lato lungo a quello breve, in modo da privilegiare il senso longitudinale, suggerendo un percorso obbligato che dall’ingresso  conduce all’altare, fulcro della celebrazione liturgica, collocato nella parte opposta.

File di colonne o pilastri, collegati tra loro da arcate o da trabeazioni rettilinee, dividono la sala oblunga in tre o cinque sezioni parallele dette navate. La navata centrale presenta un’ampiezza e un’altezza maggiori ed è in genere conclusa da un’abside, ossia un vano semicircolare, poligonale, o lobato, con copertura a quarto di sfera, detta catino. Talvolta, anche gli spazi laterali terminano con delle absidi di più ridotte proporzioni.

Quando nella basilica è presente il transetto, si determina una pianta a croce, con esplicito richiamo alla simbologia del martirio di Cristo. Il transetto è una navata trasversale che s’innesta perpendicolarmente al corpo principale dell’edificio.

La pianta si definisce a croce latina se l’inserimento avviene ai 2/3 della lunghezza della sala (croce immissa), o nel fondo (croce commissa), con riferimento alle soluzioni longitudinali adottate in prevalenza nelle aree occidentali, “latine”. Se, invece, il transetto s’inserisce al centro e le due sezioni intersecate presentano pari lunghezza, si determina una pianta a croce greca, con rimando alla centralità planimetrica tipica delle scelte architettoniche orientali.

Gli spazi interni della basilica risultano ben diversificati tra loro per consentirne le differenti destinazioni d’uso. Così, il coro, in questa fase situato dinanzi all’altare, è lo spazio riservato ai cantori e alla recitazione delle preghiere liturgiche; sempre in prossimità dell’altare si estende il presbiterio,  praticato da sacerdoti e ministranti (i presbiteri), spesso sopraelevato e separato dalla navata centrale attraverso un arco trionfale; gli spazi del transetto sono anch’essi destinati ai presbiteri, mentre le navate alla moltitudine dei fedeli. Talvolta, al di sopra delle navate laterali scorre un loggiato sopraelevato, affacciato sulla navata centrale e detto matroneo, poiché in antichità era riservato alle donne (“matroneum”, dal latino, donna maritata).

Spesso, all’esterno dell’edificio trova posto anche il quadriportico, ampio cortile quadrilatero con portico perimetrale, concepito per ospitare i catecumeni, ovvero i fedeli convertiti, ma ancora privi del sacramento del battesimo. La porzione  di porticato corrispondente alla facciata della basilica prende il nome di nartèce.

Con la crescente affermazione del cristianesimo e la pratica di somministrare il battesimo in età infantile, l’uso del quadriportico, persa l’esigenza della funzione, va scomparendo.

Tra le più antiche basiliche di Roma, ristrutturate parzialmente o integralmente nei secoli successivi, ricordo quella di  San Giovanni in Laterano,la più antica, riferibile al 313 d.C.; sempre al IV secolo risalgono anche le basiliche di San Paolo fuori le Mura e di San Pietro, quest’ultima completamente riedificata tra XVI e XVII secolo, ma rintracciabile ancora oggi nelle sue forme preesistenti grazie alle relative documentazioni del tempo; le basiliche di Santa Maria Maggiore(*) e di Santa Sabina sono invece databili nella prima metà del V secolo.  

Oltre alla più diffusa pianta longitudinale, in epoca paleocristiana si rileva anche la presenza di edifici di culto a pianta centrale, ispirati ai mausolei romani e alle chiese orientali. Segnalo, in particolare, la Chiesa di Santa Costanza (350 circa), costruita come mausoleo per la figlia dell’imperatore Costantino, e la Chiesa di San Lorenzo a Milano (fine del IV secolo).

       Chiesa di San Lorenzo, Milano, 378 circa.

Dall’esempio planimetrico dei mausolei deriva la tipologia del martyrion cristiano, edificio dedicato al culto dei martiri, in cui si può anche celebrare la messa.

LA PITTURA PALEOCRISTIANA

I primi cicli decorativi cristiani, sia pittorici che scultorei, compaiono negli ambienti sepolcrali e, come già evidenziato, si avvalgono di una forte codificazione, onde evitare di esporsi alle minacce delle autorità imperiali.

Pertanto, i soggetti religiosi non sono raffigurati esplicitamente, ma si avvalgono di studiate simbologie. In particolare, l’iconografia paleocristiana esalta il concetto di salvezza e di vita eterna attraverso gli insegnamenti del Vangelo. Ecco, allora, che i soggetti pagani  pastorali richiamano Gesù, il buon pastore che guida il gregge, mentre le scene  agricole di vendemmia si riferiscono alle sue parole: “Io sono la vite, voi i tralci”.

Altre tematiche cristiane si ricavano, poi, dall’immagine del pavone (legato ai concetti di morte e resurrezione), della colomba (riferita all’anima del catecumeno immerso nel fonte battesimale), del pesce (in greco ichthys, il cui acrostico è Iesùs Christòs Theoù Yiòs Sotèr, “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore”); anche la nave presenta un rimando religioso, in quanto la Chiesa è paragonata a un’imbarcazione insidiata dalla tempesta delle persecuzioni.

Tra i primi esempi di pittura cristiana, figurano i dipinti murali delle Catacombe di Domitilla a Roma, risalenti all’inizio del III secolo.

In genere, nei cicli decorativi funerari del tempo si predilige un linguaggio espressivo sintetico, spesso impostato su uno sfondo bianco. Una scelta, questa, motivata sia dall’esigenza di contrastare l’oscurità delle necropoli sotterranee, sia dalla necessità di utilizzare materiali più economici. Oltre all’uso molto diffuso del bianco, altri colori impiegati, in quanto meno costosi, sono il rosso e il verde.

I soggetti, incorniciati in inquadrature geometriche, sono piuttosto minuti e risultano definiti con una certa sommarietà, che fa parlare di “pittura compendiaria”.

Tuttavia, in accordo con le tendenze artistiche del tempo, non mancano effetti chiaroscurali e attenzione ai dettagli, così come si possono riscontrare una certa volumetria e un vivace gusto narrativo. Nei secoli successivi, in concomitanza alla crescente necessità di esaltare il divino, queste componenti più naturalistiche andranno man mano scomparendo, lasciando il posto a un’austera solennità.

Queste considerazioni valgono anche per i cicli decorativi realizzati con la tecnica del mosaico(*), che conosce una grande diffusione proprio nel periodo paleocristiano.

Le basiliche si arricchiscono di sfarzosi ed elaborati cicli musivi, dotati di suggestivi effetti luministici, ottenuti grazie alla sapiente disposizione dei tasselli.

Nella Basilica di San Lorenzo a Milano, risulta ben conservato il mosaico absidale del Cristo con gli Apostoli, nel sacello di Sant’Aquilino, riferibile alla fine del IV secolo.

In questa  sontuosa immagine si possono notare i richiami naturalistici del paesaggio, ma anche gli spunti tratti dall’iconografia delle divinità pagane, a cui sembra alludere la raffigurazione del giovane Cristo imberbe. Collocato in trono, con il braccio alzato, si erge al centro della composizione, avvolto in una veste dalle fattezze rigide che non manca, tuttavia, di svelarne la salda corporatura. Intorno a lui, disposti a semicerchio in accordo allo spazio curvilineo del catino absidale, si stagliano solenni gli Apostoli. L’uso del fondo in oro dona luminosità alla scena e proietta l’osservatore in una dimensione sovrannaturale.

Nel mosaico del catino absidale della Basilica di Santa Pudenziana, databile agli inizi del V secolo, lo sfondo è invece caratterizzato da un cielo scuro tinto da venature rossastre. Sotto di esso si dispongono a semicerchio edifici ispirati alle architetture ellenistiche, che si addossano all’ampio corpo porticato in primo piano.

Anche qui il Cristo domina la scena centrale, ma stavolta è raffigurato con la barba; è circondato da alcuni Apostoli, tra cui spiccano Pietro e Paolo, incoronati da due personificazioni della Chiesa. Dietro al corpo maestoso del Salvatore, una grande croce gemmata occupa la parte alta della composizione, dove trovano posto anche i quattro simboli degli Evangelisti.

I ricercati effetti chiaroscurali e prospettici rendono quest’opera più vicina a un filone artistico più aulico, ancora presente nella cultura figurativa tardo antica.

LA SCULTURA PALEOCRISTIANA

La scultura paleocristiana, sostenuta da una committenza variegata, presenta una pluralità di stilemi in cui si distingue una vocazione al gusto più popolare, ravvisabile in particolare nei piccoli rilievi votivi o nei sarcofagi di dimensioni modeste. Al contempo, si denota un’ispirazione al linguaggio più ufficiale, riconducibile alla tradizione ellenistica e romana, se pur stemperata dalle nuove esigenze di immediatezza espressiva.

Un esempio noto di scultura paleocristiana è il sarcofago di Giunio Basso, funzionario di Roma, morto nel 359.

L’opera, in marmo, è scolpita ad altorilievo con tematiche tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento.

Le scene, nonostante siano dotate di una certa cura esecutiva e di richiami naturalistici, mancano di continuità narrativa, in quanto risultano isolate l’una dall’altra. Tuttavia, una visione unitaria si può riscontrare nella costruzione architettonica, che simula un doppio porticato in cui sono incorniciate le immagini: colonne, architravi, timpani e archi rievocano ancora una volta la corrente classicistica, qui intimidita dal prevalente intento comunicativo.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) LE PERSECUZIONI DEI CRISTIANI

La religione cristiana, pur riconoscendo l’autorità dell’imperatore, proclama il primato assoluto del proprio Dio. Pertanto, si pone come una sorta di minaccia per il potere romano, già provato da instabilità sociali e politiche.

Questi presupposti spiegano gli atti persecutori organizzati contro le prime comunità cristiane.

Inizialmente si tratta di azioni sporadiche, ma verso la metà del III secolo assumono una consistenza e una ferocia maggiori, in concomitanza con la crescita del culto religioso. A quel tempo, infatti, i cristiani erano già numerosi e avevano un proprio ordinamento territoriale in diocesi, con l’insediamento di un vescovo nelle città principali.

I movimenti persecutori infuriano fino al IV secolo, per poi venir meno in seguito alle proclamazioni degli editti di Costantino e Teodosio. Con la sua crescente affermazione, la Chiesa si pone in continuità con il potere imperiale, raccogliendo la cospicua eredità politica e culturale di Roma. 

IMPARIAMO I TERMINI

Capriata: struttura portante di coperture di edifici, di forma triangolare, in legno, ferro o cemento armato; preferita in passato, per la sua semplicità, nelle chiese francescane. Introdotta dai Greci, viene ripresa dai Romani e ampiamente utilizzata nel Rinascimento e nel XIX secolo. 

Chiesa:  il vocabolo deriva dal greco ἐκκλησίαekklesía, che significa “comunità”. Nell’Antico Testamento indica l’assemblea del popolo di Dio e, nel Nuovo Testamento, l’assemblea riunita in Cristo per mezzo del Battesimo. A partire dal III secolo, il termine inizia a essere applicato non solo per designare la comunità dei fedeli, ma anche l’edificio in cui essa si riunisce. Si afferma così una sacralità del luogo di culto, che ha fondamentale importanza nel suo sviluppo architettonico. Non si hanno notizie certe sulla costruzione di chiese anteriori all’Editto di Costantino, ma dal IV secolo si affermano diverse tipologie: la piccola chiesa a sala, spesso priva di abside; le numerose varianti derivate dallo schema longitudinale della basilica romana di età classica; gli edifici a pianta centrale voltati a cupola e, ancora, quelli a pianta cruciforme con l’altare all’incrocio di quattro bracci.

DENTRO L'OPERA

(*) LA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE  –  (432-440) – Roma

Secondo la tradizione, una prima edificazione della Basilica di Santa Maria Maggiore risalirebbe alla II metà del IV secolo, ma l’aspetto attuale deriva dai rifacimenti effettuati nel secolo successivo, in un momento culturale più orientato alle istanze classiche, come attesta l’impostazione armonica degli elementi architettonici.

Nel tempo si dispongono altri interventi consistenti, come l’aggiunta del transetto nel XII secolo, la sostituzione del soffitto a capriate lignee con la copertura a cassettoni di epoca rinascimentale e l’inserimento di grandi archi in età barocca. Ne deriva una notevole alterazione della struttura nella sua iniziale organizzazione spaziale; tuttavia, l’originario spirito paleocristiano della basilica mariana permane e si palesa in particolare nella predilezione per l’impiego della linea retta.

Il maestoso edificio è riconosciuto come prima chiesa occidentale dedicata alla Vergine, proclamata Madre di Dio nel 431, durante il Concilio di Efeso. Il suo interno presenta tre navate, scandite da due file di colonne ioniche architravate; nella parte alta delle pareti della navata centrale, in corrispondenza delle colonne sottostanti, si stagliano eleganti lesene corinzie, che incorniciano finestre; nella fascia bassa, invece, trova posto un ciclo musivo con Episodi dell’Antico Testamento, caratterizzati da una vivace verve descrittiva di sapore naturalistico.

L’imponente arco trionfale, posto a separare le navate dal presbiterio, ospita altri mosaici raffiguranti Storie dell’infanzia di Cristo; qui le scene risultano dominate da un maggior intento comunicativo, in modo da esaltare il messaggio divino: le immagini, più ieratiche e solenni, sono caratterizzate da un’accentuata rigidità compositiva, evidenziata dal rigore schematico delle posizioni frontali.

LA TECNICA DEL MOSAICO

La tecnica del mosaico consiste nell’applicare su superfici parietali o pavimentali piccoli frammenti (tasselli) di pietra, terracotta o pasta vitrea, dalle colorazioni diverse, disponendole in modo da seguire un disegno prestabilito.

Questo procedimento risulta già conosciuto nell’antichità, ma trova maggiore diffusione nel periodo paleocristiano e bizantino.

Il termine musaicum è un’alterazione da musaeus, a sua volta derivato da Musa, con allusione all’utilizzo di tale tipologia decorativa nel rivestimento delle grotte dei giardini romani consacrate alle Muse.

Rispetto alle pitture murali, la tecnica musiva richiede un maggiore tempo operativo e necessita, inoltre, di una manodopera collettiva specializzata. A capo della bottega si distingue il pictor imaginàrius (pittore ideatore), a cui spetta l’invenzione della raffigurazione; quindi il pictor parietàrius (pittore di parete) la riporta sulle pareti e i museàrii -affiancati spesso da collaboratori e giovani apprendisti per i lavori più umili- provvedono ad applicare le tessere colorate.

La resa di effetti chiaroscurali e luministici, così come la definizione del contorno, risulta alquanto complessa e viene perseguita dal sapiente impiego di minuti tasselli dalle molteplici sfumature, accostati con inclinazioni differenti.