Agli albori della storia romana, prima ancora dell’edificazione di vere e proprie architetture templari, la sacralità di un luogo si realizza attraverso la recinzione di spazi aperti votati alle divinità e destinati alla pratica di riti e culti religiosi: in questa fase la parola templum può indicare  un terreno delimitato o una capanna lignea.

Dal VI secolo a.C. si rilevano le prime strutture permanenti, caratterizzate da una dichiarata ispirazione alle tipologie templari etrusche e greche.

Nell’età repubblicana gli edifici per il culto presentano una singolare compresenza di stilemi diversi, ora improntati alla tradizione italico-etrusca, ora al sobrio equilibrio greco, o ancora alla più magniloquente spettacolarità ellenistica.

Nel periodo imperiale le architetture templari acquistano una crescente monumentalità a cui si aggiunge una progettualità e una prassi costruttiva più specificamente romana, con l’introduzione di un più dinamico concetto architettonico, basato sulla linea curva e sulla frammentazione degli spazi: nicchie, esedre e absidi movimentano le pareti, mentre la tradizionale copertura a due spioventi è man mano sostituita da volte a botte o a cupola.

Anche in questo ambito architettonico la sapienza edificatoria dei Romani si avvale  dell’uso di tecniche costruttive progredite e innovative, quali l’arco, la volta e l’opus caementicium.

Uno dei templi romani più antichi è il  Capitolium, inaugurato con l’avvento della repubblica, nel 509 a.C. , sull’omonimo colle, in seguito chiamato Campidoglio.

Dedicato a Giove, Giunone e Minerva, divinità della triade capitolina(*), vanta un’estensione di circa tremila mq.  Oggi, di questa grande struttura restano soltanto le fondazioni, ma dalle fonti documentarie e dai plastici ricostruttivi emerge la vocazione fortemente etrusca, riconoscibile sia nell’impiego dei materiali, sia nelle scelte decorative e nella distribuzione degli spazi.

Tra gli esempi templari di età tardo repubblicana ricordo, invece,  i due edifici dedicati a Ercole vincitore e al dio Portunus, entrambi in un buon stato conservativo  grazie alle conversioni in chiese cristiane avvenute nel Medioevo.

L’elegante  Tempio di Ercole vincitore (120 a.C. ca.), periptero e circolare, innalzato nel Foro Boario, mostra una maggiore ispirazione ellenica, rintracciabile in particolare nella scelta dell’ordine corinzio e nella marcata scanalatura delle colonne, dotate di suggestivi effetti chiaroscurali.

L’edificio non presenta  né la trabeazione, né la copertura originale, perse sin dall’età medievale. L’aspetto attuale – una sorta di inverosimile capanna in pietra – è il risultato di un opinabile intervento risalente all’epoca fascista.

Poco distante sorge il tempio di Portunus, divinità protettrice delle strutture portuali, edificato già nel II secolo a.C., ma ricostruito nel 100 a.C. circa.

Tetrastilopseudoperiptero(*), a pianta rettangolare e di ordine ionico, il  piccolo tempio è in travertino ricoperto in stucco e si avvale di un alto podio percorso da una scalinata d’accesso nel lato frontale.

Le cornici dentellate e aggettanti e le semicolonne di natura ornamentale ritmano e movimentano le pareti esterne, rivelando soluzioni che saranno proprie del carattere architettonico romano, più evidente nella successiva fase imperiale, di cui segnalo due noti edifici religiosi di età adrianea: il celebre Pantheon(*) e il Tempio di Venere e di Roma.

Quest’ultimo, collocato su una terrazza artificiale ricavata dalle alture della Velia, risale al terzo decennio del II secolo d.C., ma  l’aspetto attuale della parte interna va riferito al restauro del 307 d.C., seguito a un devastante incendio avvenuto qualche decennio prima.

L’edificio è diptero, decastilo e di ordine corinzio(*). Le due celle sono orientate in verso opposto, una dedicata alla personificazione di Roma, l’altra alla dea Venere, la madre di Enea, il mitico fondatore greco della gens iulia.

Le soluzioni spaziali e decorative, così scenografiche e monumentali, rimandano alla cultura ellenizzante, di cui l’imperatore Adriano risulta profondo stimatore.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) LA TRIADE CAPITOLINA

Il culto  di Giove, Giunone e Minerva (i greci Zeus, Hera ed Atena) assume grande importanza nella civiltà romana, tanto da divenirne simbolo dell’eterna grandezza, con ampia diffusione nelle varie città romane. Per venerare i tre dei fu innalzato nell’Urbe un sontuoso tempio sul colle Capitolium, oggi Campidoglio. Da qui la denominazione di Capitolium per indicare ogni santuario consacrato alla “triade capitolina”, espressione coniata dalla storiografia del XIX secolo per indicare appunto le tre divinità considerate protettrici benevoli di Roma e dunque  destinatarie di una gran devozione religiosa.

Le origini di questo culto non sono ancora ben chiare, ma con ogni probabilità esso deriva dalla venerazione per Giove capitolino, considerato MaximusOptimus.

Tra i numerosi templi dedicati alla triade capitolina edificati in tutto il territorio romano, merita menzione il Capitolium di Brescia, la Brixia dei Romani.

La monumentale costruzione, eretta dall’imperatore Vespasiano nel 73 d.C., si affaccia scenograficamente sul foro della città  in posizione dominante, dal suo alto podio e dalla terrazza sopraelevata in cui è situata.

Il tempio, venuto alla luce durante campagne di scavo condotte nel XIX secolo, consta di tre celle precedute da un sontuoso pronao dotato di colonne corinzie e sormontato da timpano nella parte corrispondente alla cella centrale. Gli spazi interni, con pavimenti decorati da pregevoli policromie marmoree, ospitavano troni in muratura, ove trovavano posto le monumentali statue delle tre divinità.

IL SITO ARCHEOLOGICO DI BAALBEK: TRA TEMPLI E MISTERIOSI MONOLITI 

In Libano, la città di Baalbek, l’antica Heliopolis romana, conserva uno straordinario sito archeologico, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1984 e noto in particolare per i resti di  costruzioni templari innalzate tra il I e il III secolo d.C. L’area sacra di Baalbek sorge su una grande collina affacciata sulla pianura circostante. Monumentali Propilei introducono al ricco complesso comprendente il piccolo cortile esagonale, il gran cortile e i tre templi  di Giove-Baal, di Venere e di Bacco.

Quest’ultimo, poiché inglobato nelle successive fortificazioni medievali, è ben conservato, con 19 possenti colonne corinzie ancora in piedi, sormontate dai resti di una sontuosa trabeazione.

Il portale d’ingresso della cella è incorniciato da fregi figurati e da una decorazione di tralci di vite, che fanno pensare a un’attribuzione del tempio al dio Bacco. Risulta duplice, invece, la dedica per il tempio di GioveBaal, innalzato in onore del padre degli dei Romani e  di Baal, antica divinità cananea. L’edificio, di dimensioni maggiori del santuario di Bacco,  ha subito gravi danni a causa dei numerosi terremoti susseguitisi nella zona. Tuttavia, tra i resti, nelle fondamenta, spiccano dei colossali monoliti, che la maggior parte degli studiosi è concorde nel riferire a epoca preistorica.

Si tratta di enormi blocchi di pietra lavorata, incastrati tra loro con precisione millimetrica. Ogni monolite ha un peso di circa 450 tonnellate e nella parte superiore spiccano tre esemplari, conosciuti come Trilithon, aventi un peso addirittura superiore, tra gli 800 e le 1 000 tonnellate. Nell’immagine in alto, due figure umane sono evidenziate in rosso per rendere l’idea delle grandiose dimensioni delle pietre del basamento. Poco distante dall’area archeologica sono stati rinvenuti, inoltre, altri tre grandi blocchi: la cosiddetta Pietra della Partoriente, con riferimento a riti propiziatori di fertilità, dal peso di 1200 tonnellate; un secondo monolite di 1242 tonnellate e, infine, nel 2014 è stata scoperta la pietra detta di Janeen, che con il suo peso di ben 1665 tonnellate costituisce ad oggi il più gran monolite esistente nel nostro pianeta.

Finora gli studiosi non hanno fornito spiegazioni plausibili su come sia stato possibile spostare e lavorare questi enormi blocchi litici in un’epoca tanto remota. Del resto, si tratta di pesi  complessi da gestire anche nei nostri tempi, ragion per cui la presenza dei monoliti di Baalbek  per i più rappresenta un inquietante ma fascinoso mistero, spesso nutrito da credenze di antiche leggende sull’esistenza di figure titaniche o da suggestioni tratte da ipotetiche esistenze di alieni e di varchi spazio-temporali. Misteri  a parte, questi grandi blocchi confluiscono nelle fondamenta di un monumentale edificio innalzato dai Romani, che anche a Baalbek si confermano indiscussi e audaci maestri dell’arte del costruire.

DENTRO L'OPERA

(*) IL PANTHEON  (118-125 d.C.), Roma.

Il Pantheon rappresenta una delle più ardite e originali costruzioni realizzate nell’architettura antica.

Il tempio sorge nel cuore di Roma ed è dedicato alle sette divinità planetarie romane: Luna, Sole, Saturno, Mercurio, Venere, Marte e Giove. Questa vocazione cosmica  viene tramutata in  culto cristiano nel 609 d.C., quando il santuario diventa una chiesa votata alla Madonna e a tutti i martiri.

Costruito nel 27 a.C. da Agrippa, il Pantheon viene distrutto da un incendio nell’80 d.C., quindi restaurato, per poi essere colpito da un fulmine nel 110 d.C. e dunque interamente ricostruito in età adrianea, tra il 118 ed il 125 d.C. L’iscrizione che percorre la trabeazione della nuova struttura ricorda la prima edificazione risalente ad Agrippa, di cui si mantiene l’orientamento. L’edificio di Adriano è formato da tre elementi principali: l’elegante  pronao con porticato colonnato, l’alto vano intermedio rettangolare e l’ampia cella circolare.

L’incisione realizzata nel XVI secolo da Étienne Dupérac mostra chiaramente la concezione unitaria di queste tre anime architettoniche raccordate tra loro in un unico monumentale edificio. Il pronao, corinzio e octastilo, ricavato dal precedente edificio agrippino, rimanda al più tradizionale linguaggio costruttivo ellenico. Risulta caratterizzato dalla presenza di sedici colonne disposte in tre file: otto frontali  di granito grigio e otto di granito rosso divise in due file da quattro.

Le colonne sono sormontate da un timpano rivestito di marmo. Anche l’ambiente di raccordo, un corpo di forma  parallelepipeda, è ricoperto dal marmo, mentre il retrostante spazio circolare della cella, voltato da una monumentale cupola emisferica, è in opera cementizia.

Ed è in questo ambiente che si svela  l’intraprendente ingegnosità  costruttiva dei Romani. Nessun altro edificio circolare realizzato sinora può vantare simili dimensioni: il diametro misura ben 43,44 metri, valore pari all’altezza dell’interno. Tale corrispondenza numerica rientra in una ragionata scelta di conferire un armonico senso di misura attraverso una semplice e ben proporzionata impostazione geometrica, dove  un corpo  cilindrico risulta coperto da una mezza sfera dotata di pari altezza e uguale raggio.

A questa semplicità della pianta geometrica fa riscontro un’elaborata messa in opera della cupola, che tende ad alleggerire i materiali man mano che si sale verso l’alto: travertino e tufo per la parte inferiore, mattoni per quella intermedia e polvere vulcanica per lo stadio superiore.

Al vertice, un grande oculo(**) dal diametro di otto metri, alleggerisce ulteriormente la struttura, conferendo anche un singolare effetto di luminosità all’interno, con un getto di luce che parte dal centro, per poi allargarsi a cono. L’oculo risponde anche all’esigenza di fornire la possibilità di osservazioni astronomiche, in stretta connessione alla dedica dell’edificio alle sette divinità planetarie. Nonostante l’apertura, anche in caso di forti scrosci di pioggia, non si riscontrano accumuli di acqua. Questo avviene  sia per la studiata conformazione del vano, che crea un effetto ascensionale dell’aria, in modo da frantumare le gocce, sia per la presenza di diffusi fori di drenaggio lungo le pareti e il pavimento.

A questo acume inventivo fa eco la singolare progettualità dello spazio dinamico e avvolgente della cella, caratterizzata dall’alternarsi di nicchie semicircolari e rettangolari, filtrate da colonne corinzie e intervallate da edicole. Sopra le nicchie, scorre un secondo ordine inquadrato da lesene in porfido e da finestre che affacciano su un corridoio circolare interno, creato per sgravare la struttura.

Continuando a salire, l’interno della cupola è invece scandito da cinque file concentriche di ventotto cassettoni(*), man mano decrescenti verso l’alto. Queste superfici così movimentate, ritmate da rientranze e sporgenze, creano  vibranti effetti chiaroscurali, nutriti anche dal fascio di luce aggettante dell’oculo. Inoltre, a tali giochi luministici fa riscontro una sapiente regia decorativa, ravvisabile nei decori geometrici pavimentali, come negli stucchi dipinti e nelle dorature delle pareti. Una fastosa serie di ornamenti in bronzo, oggi perduta,  ravvivava anche l’esterno del pronao, dove le scelte stilistiche e l’andamento rettilineo rimandano al linguaggio greco. Ma se è vero che a confronto del più innovativo e ardito spazio romano dell’interno, il porticato si configura come tipologia più tradizionale, è altresì riconoscibile anche qui la presenza di una prassi costruttiva più inedita.

Possente e ampio, ornato dai giochi decorativi delle cornici dentellate e dagli effetti chiaroscurali nati dal contrasto tra la luminosità dei fusti lisci delle colonne e le ombre dei profondi spazi retrostanti, il pronao del Pantheon è anch’esso pervaso da un’intensa energia comunicativa tipicamente romana.

VISITIAMO!

I TEMPLI DI ERCOLANO E POMPEI

Poco distanti dal nostro territorio sorrentino, i siti archeologici delle città vesuviane di Ercolano e Pompei, sommerse dall’eruzione del 79 d.C., ospitano ulteriori esempi di architettura religiosa romana.

In particolare a Pompei, attraverso studi recenti, è emersa la singolare disposizione di numerosi edifici templari, che risultano allineati alla posizione di determinati astri in giorni stabiliti.

Tra le costruzioni sacre della vivace cittadina commerciale, ricordo i resti dell’antico Tempio Dorico (VI secolo a.C.), e del Tempio di Asclepio (III-II secolo a.C.); ben noti risultano poi il Tempio di Giove (II sec. a.C.) in seguito trasformato in Capitolium(*)  e il Tempio di Iside (fine II sec. a.C.), entrambi caratterizzati da un alto podio con scalinata d’accesso sul lato frontale.

Tempio di Iside

Sempre al II secolo a.C., risalgono interventi di ridefinizione dell’antico Tempio di Apollo (VI sec. a.C.), edificio contraddistinto dalla mescolanza di elementi italici (alto podio con scala d’accesso sulla fronte) e stilemi greci (peristasi).

Al I secolo a.C. si data, invece, quello che doveva figurare tra gli edifici più sontuosi dell’area: il Tempio di Venere, situato nella parte occidentale e di cui oggi i resti parziali non consentono una facile interpretazione.

Santuario dei Lari Pubblici

Fanno parte dell’ultimo periodo pompeiano il corinzio Tempio della Fortuna Augusta, innalzato dopo il ritorno dell’acclamato Augusto  dalle spedizioni del 19-13 a.C.; il Santuario dei Lari Pubblici, articolato dal susseguirsi di nicchie e colonne, secondo alcuni studiosi eretto dopo il terremoto del 62 d.C. per ottenere il favore delle divinità protettrici della città; infine il Tempio di Vespasiano, attribuito al culto del Genio dell’Imperatore e considerato in fase di costruzione al momento dell’eruzione del Vesuvio, anche se per alcuni studi si tratterebbe di un edificio più datato e dunque in ristrutturazione nel 79 d.C.

Spostandoci a Ercolano, nella parte più meridionale e prossima alla costa, stagliata su una terrazza retta da strutture a volte, sorge un’area sacra comprendente i resti di due templi e un collegio sacerdotale.

I due templi, dedicati uno a Venere, l’altro, corinzio, alle quattro divinità di Mercurio, Minerva, Nettuno e Vulcano, risultano entrambi ricostruiti a seguito del terremoto del 62 d.C.

Collegio degli Augustali

Eretto probabilmente  tra il 27 e il 14 a.C., il Collegio degli Augustali ha pianta rettangolare con pareti decorate da arcate cieche. L’ambiente, diviso in tre navate da quattro colonne tuscaniche, era destinato alle riunioni del collegio dei sacerdoti di Augusto, per le celebrazioni del culto religioso del divino imperatore e della sua Gens Iulia.

IMPARIAMO I TERMINI

(*) Per i significati dei termini tecnici adoperati in questa lezione, rimando al glossario fornito nel link sull’architettura greca: http://www.talepiano.it/scacco-allarte-la-prof-larchitettura-greca-eta-arcaica/

Aggiungo la definizione riferita al tempio Pseudoperiptero, tipologia tipicamente romana, nata da quella periptera ellenica e consistente in una cella che si allarga fino ad incorporare il colonnato, dato da una fila di semicolonne o paraste sporgenti dalle pareti.

(**) Oculo: In architettura,  apertura di forma circolare oppure ovale, a volte anche solo dipinta, in genere a scopo decorativo.

(***) Cassettone: Incavo di regolare forma geometrica, che scandisce la superficie interna di una volta o di un soffitto a scopo ornamentale.