Nel 1907 la grande mostra retrospettiva dedicata a Paul Cézanne desta l’interesse di alcuni giovani artisti innovatori, che di lì a poco diventeranno protagonisti di una delle Avanguardie storiche più rivoluzionarie: il Cubismo. 

Anche in questo caso il termine trae origine da una critica denigrante, quella di “maltrattare la realtà riducendola a schemi geometrici, a cubi”. Un giudizio che a questi artisti emergenti non dispiace, al punto da adottare il nome “cubismo” proprio per esaltare la loro tendenza a scomporre la realtà in piani e volumi essenziali, una sorta di piccoli cubi. 

Questa modalità espressiva, oltre a trarre spunto dall’impostazione geometrica di Cézanne, si ispira alle semplificazioni dell’arte primitiva, riscoperta e valorizzata dagli artisti europei già da diversi decenni. Nei linguaggi tribali, infatti, prevale una visione più genuina, svincolata dalla verosimiglianza e ciò suggestiona le correnti più innovative, proiettate al superamento della tradizione. 

Il Cubismo nasce grazie al sodalizio artistico di Pablo Picasso e George Braque. Essi danno vita a un’originale sperimentazione formale portando alle estreme conseguenze il linguaggio di Cézanne. 

I due artisti si conoscono a Parigi nel 1907 e da allora operano in gran sinergia e comunità d’intenti, rivoluzionando il concetto stesso di arte. 

“La natura è una cosa, la pittura un’altra”, scriverà nel 1935 Picasso e con questo assunto spiegherà in cosa consiste la radicale innovazione del Cubismo, ovvero nell’andare oltre ogni convenzione visiva legata alla verosimiglianza, poiché alla pittura non spetta il compito di imitare la natura, bensì quello di creare una realtà nuova.

Picasso e Braque svelano quel forte bisogno di innovazione avvertito sin dal XIX secolo e fomentato dal progresso scientifico e tecnologico del tempo. 

In particolare, la teoria della relatività di Einstein induce a riflettere sul concetto della molteplicità di tempo e spazio e, sulla scia di queste nuove verità, la pittura cubista scompone un oggetto, per poi rivelarlo in tutte le sue sfaccettature, come se potessimo guardarlo da svariati punti di vista. 

La realtà viene così frammentata in più piani geometrici per manifestarsi nella sua totalità, proprio come nella visione combinata dell’arte primitiva, nonché di quella egizia. 

Una prima significativa avvisaglia di questi fermenti artistici si coglie nella grande tela picassiana “Les demoiselles d’Avignon”, realizzata nel 1907 e caratterizzata da un’ardita compenetrazione tra lo spazio e le figure. 

Le cinque donne in primo piano sono modellate da una linea spigolosa che ne rivela i profili taglienti, fino a sviluppare con le due figure tribali a destra innaturali pose contorte che ci aprono alla simultaneità della visione. 

Anche lo spazio, al pari delle demoiselles, viene scomposto in più piani, al punto da mescolarsi con esse in un originale dialogo di forme geometriche che segna un punto di arrivo e, al tempo stesso, un punto di partenza: d’ora in poi il ruolo della pittura non sarà più lo stesso. 

Il cubismo analitico (1909-11)

Dopo la realizzazione di “Le demoiselles d’Avignon”, Picasso e Braque si dedicano a una fervida sperimentazione pittorica, che emerge appieno nel 1909, attraverso un’intensa produzione di dipinti caratterizzati da un’intricata frammentazione in una moltitudine di piani: gli oggetti raffigurati vengono scomposti in più forme geometriche, che si mescolano alle forme dello spazio, anch’esso scomposto. In questa prima fase del Cubismo, definita “analitica”, i colori utilizzati sono terrosi e hanno tonalità spente, in modo da non distogliere l’attenzione dalla percezione del disegno.   

Il cubismo sintetico (1912-13)  

A partire dal 1912, le opere di Braque e Picasso puntano a una ricomposizione degli oggetti prima scomposti, che adesso acquistano una nuova forma, sempre più svincolata da quella reale e animata da colori spesso accesi e brillanti. 

Questa seconda fase prende il nome di  “Cubismo sintetico” e si apre ad altri fondamentali contributi artistici legati a personalità quali Juan Gris e Fernand Legér. 

Con il  cubismo sintetico si attua il pensiero di Picasso secondo cui “pittura e natura si equivalgono”. La pittura diventa dunque fonte di creazioni inedite, alle quali concorrono anche le tecniche dei papiers collés (carte incollate) e dei collages (incollaggi). I primi sono ritagli di parati e giornali di svariati colori e forme, applicati sulla tela, mentre con i collages subentrano diverse tipologie di materiali (legno, gesso, paglia…). Nell’uno e nell’altro caso si intende offrire nuovi spunti riflessivi, dimostrando ad esempio l’autonomia della forma rispetto al colore e viceversa. 

Tale operazione, apparentemente banale, cela in realtà una raffinata operazione mentale, che contrappone alla falsità della raffigurazione la verità del materiale utilizzato. 

Nel 1914 lo scoppio della Grande Guerra pone bruscamente fine alla feconda stagione del Cubismo: Braque viene chiamato al fronte e quando, nel 1916, fa ritorno a Parigi, Picasso ha oramai proseguito il suo percorso artistico in solitudine. Adesso i tempi sono maturi per andare oltre, con la consapevolezza di aver realizzato una fondamentale, quanto radicale, innovazione artistica. 

PABLO PICASSO (1881-1973)

Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno Crispin Crispiano de la Santìsima Trinidad Ruiz y Picasso è il lunghissimo nome completo dell’artista che, con la sua indole estrosa e geniale, ha segnato il panorama culturale del Novecento.

Pablo Picasso nasce a Malaga, in Andalusia, e viene avviato giovanissimo alla pittura dal padre, insegnante in una scuola d’arte. Ha così modo di sviluppare il suo talento precoce e all’età di quattordici anni si ritrova già ad esporre e ottenere un ottimo consenso dalla critica. 

Negli anni formativi il suo straordinario impeto creativo si alimenta dapprima nel solco di una preparazione accademica, per poi volgere attenzione alle più innovative correnti impressioniste e postimpressioniste. 

Da subito emergono le sue eccellenti doti espressive, caratterizzate dall’immediatezza  e dalla vitalità del segno grafico. 

Il periodo blu (1901- 1904)

Man mano il giovane Pablo matura l’esigenza di andare oltre quanto appreso, di trovare un suo linguaggio specifico, un suo stile personale. 

L’incipit di tale percorso individuale si manifesta nel 1901, con una fase chiamata dagli studiosi “periodo blu”, in riferimento all’utilizzo delle più svariate tinte di azzurro, turchino e grigio nei dipinti realizzati in questi anni. 

Il blu è un colore freddo, capace di infondere un’aura di velata tristezza all’opera. D’altronde, i soggetti raffigurati in questa fase risentono dello stato di malinconia in cui è calato l’artista a seguito del suicidio di un amico. Così, la tavolozza s’impregna di sfumature azzurre per dipingere poveri, emarginati e derelitti, isolati nelle loro drammatiche condizioni di vita. 

Si osservi “Poveri in riva al mare” (1903), segnato da una potente immagine familiare, che evoca e attualizza il tema della Sacra Famiglia. I tre personaggi, definiti da un forte contorno, appaiono emaciati e infreddoliti su una riva sabbiosa e, seppur gravati dalla loro miserevole condizione, si rivelano nella loro austera monumentalità,  conservando una composta dignità. 

La scena è resa dalle sole cromie blu, ma risulta comunque scandita in scenari diversificati da cui emergono i tre elementi fondamentali di terra, acqua e aria. 

Il periodo rosa (1905-1906)    

Al periodo blu segue una svolta: nel 1904 Picasso si trasferisce nel quartiere di Montmartre, dove il fervore della vita parigina gli consente di superare lo stato di malessere in cui si era calato. I suoi dipinti acquistano man mano colorazioni più calde e le tinte azzurre cedono il passo a soffuse colorazioni in rosa, beige, ocra e arancio, dando così origine al cosiddetto “periodo rosa”.

Si tratta di una fase breve, ma ricca di stimoli e rimandi artistici: dal contemporaneo espressionismo dei Fauves allo studio di Ingres e alla scoperta dei grandi letterati della Parigi del tempo. Lo stile picassiano emerge adesso in tutta la sua essenza sperimentale, preludendo anche i successivi esiti della rivoluzione cubista. 

Le figure macilente del periodo blu vengono ora sostituite da più sereni scenari circensi, nonché da acrobati, pagliacci, ballerine e giocolieri di strada: un modo, questo, di lasciarsi alle spalle la miseria  delle composizioni azzurre, mantenendo tuttavia una velata aura di tristezza, che sfiora questi personaggi, comunque situati ai margini della società e segnati dalle difficoltà della vita di strada.     

In un secondo momento tra i soggetti subentrano anche ritratti e figure nude, dove si avverte una maggiore attenzione all’impostazione volumetrica. 

Tra le opere più note del periodo rosa va ricordata “La famiglia di saltimbanchi”, una grande tela dove il soggetto circense, che tanto affascina l’artista, si svela attraverso un gruppo di giocolieri inseriti in un’anonima e desolata ambientazione desertica. Seppur riuniti, ognuno di essi appare isolato nei propri pensieri, con lo sguardo trasognato, in un’atmosfera di soffusa malinconia. Per quanto concerne lo stile, invece, la semplificazione formale  e l’accentuazione dei volumi rimandano alla pittura di Cézanne.

Secondo alcuni critici, inoltre, l’uomo di spalle nelle vesti di Arlecchino rappresenterebbe un autoritratto del pittore e l’opera simboleggerebbe il suo passaggio dalla giovinezza all’età adulta.  

 

Nel 1907, come già esaminato, il giovane Picasso rivoluziona il suo stile dipingendo Les demoiselles d’Avignon.  Dopo le fasi preparatorie del periodo blu e del periodo rosa, trova così una propria identità nel linguaggio cubista, che segnerà tutta la sua lunga e proficua carriera. 

Anche se la stagione cubista dura pochi anni, la straordinaria innovazione di questa tendenza stravolge il concetto stesso di arte, incidendo profondamente su tutte le altre correnti artistiche del Novecento. 

Tra le opere picassiane del cubismo analitico, segnalo il Ritratto di Ambroise Vollard (1909-10), mercante d’arte e collezionista, amico di Pablo. 

Superato un primo momento di esitazione dovuto alla frammentazione materica del personaggio e dello spazio, l’opera si svela man mano nei suoi numerosi dettagli, che un occhio attento può cogliere. L’immagine di Vollard non rispetta i canoni tradizionali di verosimiglianza naturalistica, ma a ben vedere, attraverso questa modalità espressiva, l’artista riesce ad andare oltre cogliendo l’essenza interiore dell’effigiato: la smaterializzazione frammenta l’esteriorità, ma non ci impedisce di percepire l’interiorità.

Negli anni del cubismo sintetico, Picasso e Braque puntano a ricomporre la realtà per renderla più riconoscibile, evitando così il rischio di uscire dai binari della figuratività. 

Risale a questa fase “Natura morta con sedia impagliata” (1912), dalla singolare forma ellittica. Gli oggetti raffigurati, in tinte scure e quasi monocrome, si adagiano su un ritaglio di tela cerata raffigurante in maniera realistica l’impagliatura di una sedia. L’intento è quello di ironizzare sul sottile confine tra realtà e finzione pittorica.   

Nel primo dopoguerra, quando l’avanguardia del Cubismo è ormai venuta meno, Picasso riprende le tematiche del cubismo sintetico e si apre maggiormente al gusto per il colore, prediligendo una visione fortemente bidimensionale. 

Negli anni Venti, quando  nei principali centri artistici europei riaffiora un orientamento classico, anche il pittore spagnolo recupera una visione più equilibrata e armonica. 

Ne “Il flauto di Pan”, per esempio, oltre che dal soggetto mitologico, l’ispirazione classica è rivelata dalla salda impostazione volumetrica delle figure e dallo studiato rigore compositivo della scena. Il tutto condito dall’inconfondibile stile del maestro, uno stile che va al di là delle mode del tempo.

L’arte di Picasso è pervasa da un’intensa vitalità espressiva, resa da una linearità dinamica e decisa. Negli anni a venire egli produrrà instancabilmente una gran quantità di opere, non solo pittoriche: si dedicherà alla ceramica(*), alla scultura, alla scenografia. E ogni sua opera sarà segnata dalla singolare genialità del suo poliedrico estro creativo. Non solo: ogni sua creazione rifletterà anche i principali momenti culturali e storici del Novecento. 

Egli dirà la sua sui più svariati aspetti di un secolo così complesso e travagliato. Si pronuncerà sugli orrori della guerra con la monumentale “Guernica”(*), esprimerà -a modo suo- la dimensione onirica dell’avanguardia surrealista, si farà portavoce della femminilità con una ritrattistica a tratti fascinosa e seducente, dipingerà e plasmerà la dedizione per la sua patria con gli innumerevoli tori, simbolo della tradizione ispanica. E a proposito di tradizione, egli riprenderà anche antichi capolavori come “Las Meninas” di Velazquez o  “Colazione sull’erba” di Manet, per rielaborarli secondo la sua personale interpretazione dell’arte. 

Il “genio del secolo”, come è stato più volte definito, ha dunque segnato il Novecento andando ben al di là di una definizione univoca del suo estroso linguaggio. 

Instancabile ed inesauribile creatore, ha inseguito per una vita intera il modo di creare dei bambini pretendendo l’essenzialità comunicativa dell’idea per fuggire dalla verosimiglianza legata alla percezione visiva.

La sua energia creativa non si è mai arrestata, nemmeno con l’avanzare dell’età. Egli si è sempre misurato con una frenetica ricerca tutta in divenire, in un continuo reinventarsi attraverso sagaci intuizioni e raffinati intellettualismi. 

“Ma questo basta, no? Che cosa devo fare di più? Che cosa potrei aggiungere? E’ già stato detto tutto.” (Picasso)   

     Mariaelena Castellano

GUERNICA   Olio su tela, 1937, Centro de Arte Reina Sofia, Madrid. 

“Guernica” è uno dei dipinti più noti di Picasso e non solo per le grandi dimensioni di 351 x 782 cm. “Guernica” è il nome della cittadina basca rasa al suolo nel 1937 dalle forze armate franchiste sostenute dai nazifascisti e la grande tela a essa intitolata nasce come manifesto del dissenso politico e ideologico dell’artista. 

Quando egli apprende la notizia del bombardamento, prova un forte senso di indignazione e sente da subito il bisogno di esternare il suo pensiero attraverso questa enorme opera destinata al Padiglione Spagnolo dell’Esposizione Universale di Parigi. 

Il linguaggio picassiano raggiunge qui i più alti vertici espressivi in una summa stilistica dove modi cubisti, espressionisti e surrealisti insieme denunciano con straordinaria efficacia comunicativa tutto l’orrore della guerra e della violenza umana. 

La scena è dominata da un’affollata composizione, ma a ben vedere ogni elemento risente della sapiente regia dell’artista, come si evince dalla studiata tripartizione in fasce verticali, due laterali più strette e una centrale, più ampia, in cui si riversa il maggior numero di personaggi. 

Il bombardamento ha sconvolto ogni cosa, nulla è più come prima, come rivela anche il dettaglio della luce elettrica che illumina lo spazio esterno, come un pallido sole snaturato.

Chi guarda l’opera, date anche le immense dimensioni, prova un gran coinvolgimento emotivo e si sente egli stesso vittima tra le vittime. Il suo sguardo si posa man mano sui volti disperati di persone e animali, resi come figure evanescenti, una sorta di entità spirituali smaterializzate dalla paura. 

A sinistra emerge la potente immagine di una donna che stringe a sé il corpicino inerme del figlio morto. Ha il collo fortemente reclinato all’indietro, in modo innaturale, cosicché può volgere meglio lo sguardo in alto, per gridare tutta la sua disperazione al cielo.  

Accanto a lei incombe la figura di un toro, austero e smarrito al tempo stesso. L’animale simboleggia da sempre la Spagna, come a voler evidenziare che con questo atto di inaudita ferocia l’intera nazione è stata ferita. 

Tutt’intorno, ovunque, infuria la devastazione: un cavallo nitrisce sgomento, terrorizzato da questa scena apocalittica; un uomo e due donne scappano da una casa in fiamme; in primo piano il corpo dilaniato di un combattente.  

Linee sinuose e avvolgenti si alternano a linee taglienti e spigolose in un crescendo di enfasi espressiva dove non c’è posto per il colore, perché il colore è vita e qui prevale la follia distruttrice dell’uomo, che stronca ogni cosa. 

Tuttavia, a ben guardare, in basso, accanto alla spada spezzata, la presenza appena percepibile di un fiore pare annunciare la volontà di non arrendersi, di continuare a sperare. Questo piccolo fiore esprime l’idea di rinascita e dunque la possibilità di confidare in un futuro migliore. Nonostante tutto.