La seconda metà del Novecento si apre con la volontà di lasciarsi alle spalle le devastazioni e i grandi sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale. I campi di sterminio, le persecuzioni di massa, i bombardamenti aerei su obiettivi civili e i milioni di morti hanno segnato fortemente le coscienze di tutti e ovunque prevale il desiderio di far rinascere le città dalle macerie, ma anche di costruire una nuova società, fondata sui valori della pace e della democrazia. 

Grazie ai contributi economici statunitensi previsti dal Piano Marshall, l’Europa può contare su una rapida ripresa. Ciò consente agli USA di recuperare i commerci internazionali con il Vecchio continente e, al tempo stesso, di porsi come superpotenza mondiale. 

L’America emerge anche dal punto di vista culturale, complici i contributi dei numerosi di intellettuali e artisti europei emigrati dall’Europa durante la guerra. Così, se nel primo Novecento il ruolo di capitale dell’arte spettava a Parigi, adesso la scena internazionale è dominata dagli Stati Uniti, in particolare da New York, metropoli segnata da una feconda vivacità culturale. 

Mentre i paesi occidentali gravitano attorno agli interessi americani, in Oriente s’impone la supremazia dell’Unione Sovietica. Si creano così due grandi blocchi: quello dei paesi occidentali, filoamericani, e quello dei paesi orientali, filorussi. Ciò determina uno stato di forte tensione perdurato fino agli anni Ottanta e passato alla storia come “Guerra Fredda”, a indicare il clima di paura scaturito dai continui scontri giocati su fronti internazionali e dalla corsa agli armamenti nucleari. 

Per quanto concerne la situazione sociale ed economica, invece, a partire dagli anni Cinquanta si verifica una progressiva crescita, nota come “boom economico”: un gran numero di persone può accedere a nuovi beni di consumo, quali gli elettrodomestici, la televisione e, soprattutto, l’automobile. Cambia, dunque, lo stile di vita e nuove abitudini prendono il sopravvento. Del resto, è anche contro questo cambiamento che, alla fine degli anni Sessanta, negli Stati Uniti come in Europa, s’impongono forti movimenti di contestazione sociale. La protesta, atta a contrastare conformismo e consumismo, parte dagli ambiti studenteschi, per poi diffondersi anche tra le varie classi lavoratrici. 

Di fronte a questo scenario così ricco di contraddizioni e cambiamenti, l’arte del secondo Novecento assume differenti sfaccettature, in una progressiva propensione a svincolarsi dalle logiche del potere, fino ad arrivare a osteggiarle con atteggiamenti critici, ma anche con modi ironici e provocatori. 

Rispetto alle Avanguardie storiche della prima metà del secolo, gli artisti si affrancano totalmente da ogni condizionamento, sperimentando soluzioni sempre più ardite e innovative, con una maggiore predilezione per le tendenze astrattiste. 

Si tentano anche nuovi canali espressivi, in linea con il progresso tecnologico del tempo: l’informatica, la multimedialità e l’elettronica diventano strumenti di cui si serve l’artista, così come la fotografia, il cinema e la televisione, che assumono nuovi sviluppi.

Il tutto per stupire, ma anche per scandalizzare e per contrastare, in una frenesia di correnti e personalità artistiche che si succedono a ritmi sempre più incalzanti, spesso esaurendosi  ancor prima di aver espresso tutte le proprie potenzialità. 

Come per le logiche del consumismo e della moda, capisaldi della nuova società, anche l’arte partecipa a questo continuo flusso rinnovandosi con rapidità, alla perenne ricerca di altri stimoli. 

L’arte di questi decenni così difficili mira a riflettere sulla sua funzione, sul suo ruolo nel mondo contemporaneo, puntando a indagare e narrare la società del suo tempo. Essa non intende più rappresentare, dunque, ma svelare. Svelare contenuti e pensieri; sofferenze, speranze e sentimenti. Svelare il tutto e il nulla.

Mariaelena Castellano