I ritrovamenti archeologici, insieme alla documentazione fornita dal De architectura di Vitruvio(*), consentono un’accurata conoscenza dell’edilizia abitativa romana.

Con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., interi complessi urbani, rimasti sepolti sotto le ceneri, sono sopravvissuti nei secoli, liberi da contaminazioni di successive stratificazioni.

In particolare, gli antichi centri di Pompei ed Ercolano, portati alla luce durante gli scavi del XVIII secolo, risultano oggi tra i siti archeologici più visitati in Italia.

Un’altra importante testimonianza dell’edilizia residenziale al tempo dei Romani è emersa nella capitale, in più recenti campagne di scavo condotte tra il Foro e il Palatino, dove sono emerse dimore di facoltosi patrizi del periodo repubblicano, tra cui segnalo la  Domus 3, ben conservata, con un impianto originario risalente agli ultimi anni del VI secolo a.C.

Per domus s’intende l’abitazione cittadina di una famiglia aristocratica, estesa in genere su un lotto di terreno rettangolare molto allungato e circondata da alte mura, in modo da potersi proteggere dai rumori e dalle polveri degli spazi esterni.

Spesso il dominus, il padrone, utilizza la sua dimora anche per svolgervi le attività lavorative. Pertanto, necessita di adeguati ambienti di rappresentanza per ricevere i clienti e per trattare gli affari con i propri pari, nonché per esaltare il prestigio legato al suo ruolo sociale.

La tipologia della domus(**), di cui un celebre esempio è fornito dalla Casa del Fauno di Pompei (*), si avvale di spazi pensati per rispondere a specifiche funzioni.

I patrizi più benestanti possono disporre anche di un altro tipo di abitazione, la villa, in origine con un carattere specificamente agricolo e dunque ubicata nelle campagne limitrofe e destinata  alla coltivazione e all’allevamento.

Dal II secolo a.C., con l’aumento del benessere sociale delle classi più elevate, la villa assume anche una vocazione legata all’otium, ossia a quell’insieme di attività piacevoli, quali la lettura, la scrittura, la pratica della musica e la riflessione filosofica.

Tra le ville suburbane meglio conservate, menziono Villa dei Misteri, situata nei pressi delle porte d’ingresso alla cittadina di Pompei  ed edificata tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C.

La struttura  si avvale di una posizione dominante, in quanto secondo una consuetudine abbastanza diffusa, risulta innalzata su una piana realizzata artificialmente e poggiante su portici a volta, realizzati per garantire la tenuta del terreno.

Dal desiderio di godere della vista mare nasce, poi, la tipologia della villa marittima. Numerose località delle coste campane(*) e laziali ospitano ancora oggi i  resti di queste costruzioni, del resto disseminate anche in altre regioni italiane,  talvolta lungo le sponde di laghi. Tra gli esempi più noti, la Villa dei Papiri, a Ercolano, e la Villa di Catullo, a Sirmione, sul Lago di Garda.

Quanto a magnificenza, dimensioni e ricchezza decorativa delle domus, il primato spetta alle costruzioni residenziali destinate agli imperatori, tra cui segnalo il celebre esempio della Domus Aurea(**), edificata nell’Urbe per Nerone, e la scenografica villa suburbana di Tivoli costruita per Adriano (118-130 d.C.).

Riguardo, invece, le abitazioni dei ceti meno abbienti, pochi risultano i resti pervenuti ad oggi.

La maggior parte della popolazione non gode di spazi ampi e vive in appartamenti in genere concessi in affitto  e spesso fatiscenti. A volte, le esigenze abitative si soddisfano anche in soppalchi ricavati dagli spazi retrostanti le botteghe o addirittura direttamente nei magazzini dove si svolgono le attività lavorative.

La parola insula, nata per indicare una porzione urbana delimitata da quattro strade, viene anche riferita alla tipologia abitativa plurifamiliare divisa in appartamenti disposti su più piani e addossati l’uno sull’altro per un risparmio di materiale costruttivo e di spazi.

L’impiego del legno e la mancanza di canne fumarie  rendono precarie queste costruzioni, spesso soggette a crolli  e incendi, il che spiega la carenza di tracce archeologiche.

I resti più consistenti si annoverano presso Ostia, all’epoca porto marittimo di Roma presso la foce del Tevere. Tra le sue testimonianze più note, ricordo la Casa di Diana (II secolo d.C.), che prende nome da una statuetta in terracotta della dea rinvenuta nel cortile interno.

Casa di Diana, Ostia

Parlare di edilizia privata significa chiamare in causa anche le strutture funerarie, distinte in differenti tipologie, a seconda del periodo storico e dell’estrazione sociale del defunto.

Nei primi secoli di storia romana le tombe sono sostanzialmente uguali tra loro, specchio di una società ancora poco articolata.

Verso il VI secolo a.C., con la differenziazione tra il ceto patrizio e i plebei, si innalzano le prime tombe a camera di famiglia, adornate da ricchi corredi funebri, secondo un’usanza già diffusa in epoca etrusca.

A partire dalla tarda età repubblicana, questi monumenti  vengono collocati nelle zone più suburbane e nel I secolo a.C. si diffonde l’uso della tomba individuale, atta a esaltare il defunto come un eroe.

In genere si tratta di strutture sopraelevate su basamenti, con caratteristiche diverse a seconda del destinatario, spesso raffigurato in un ritratto.

Tomba di Eurisace, 30 a.C.

Il Mausoleo di Cecilia Metella, nuora del triumviro Crasso consiste in una struttura cilindrica risalente alla seconda metà del I secolo a.C., ispirata  alla tomba a tumulo etrusca e alla tholos ellenistica.

La Tomba di Eurisace, invece, presenta una pianta trapezoidale; i richiami ai recipienti per impastare la farina rivelano l’estrazione sociale di Eurisace, committente nonché destinatario dell’opera: un fornaio arricchitosi in vita e desideroso di glorificare il proprio ricordo attraverso una monumentale tomba in travertino.

 Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ…

(*) VITRUVIO E IL “DE ARCHITECTURA”

Di Vitruvio Pollione è incerto il luogo di nascita, mentre la sua cronologia di riferimento va dagli inizi del I secolo a.C. ai primi anni del periodo augusteo.

Ricopre il ruolo di  praefectus fabrum, ovvero di ingegnere del genio militare addetto alle costruzioni di accampamenti, strade, ponti e  macchine da guerra.

Tuttavia, il nome di Vitruvio è ricordato principalmente per il suo celebre trattato, il “De Architectura”, stilato tra il 29 e il 23 a.C. circa e dedicato ad Augusto. È un testo di grande importanza, in quanto risulta il primo scritto sull’architettura antica giunto fino a noi una preziosa fonte per una più esaustiva conoscenza delle tecniche, dei materiali e dei procedimenti operativi del tempo.

Strutturato in dieci libri, questo trattato ha il merito di aver riconosciuto un ruolo intellettuale all’architetto, per il quale si considera la necessità di essere in possesso di un sapere enciclopedico.

Per la realizzazione di quest’opera Vitruvio si serve sia di fonti greche, sia di fonti latine, entrambe rivisitate attraverso la personale esperienza pratica e le conoscenze filosofiche.

(**) LA DOMUS

Alla domus romana si accede mediante un vestibulum e uno stretto locale d’ingresso conosciuto come fauces (“gola”).

Si perviene, così, al primo ambiente più ampio della casa, l’atrium, di forma quadrata e con copertura parziale: il compluvium, ossia il tetto a spiovente con le falde inclinate verso l’interno, che lascia scoperta la parte centrale, in corrispondenza della collocazione sottostante di una vasca, l’impluvium, utilizzata per la raccolta delle acque piovane.


Intorno all’atrium si collocano i cubicula, piccoli ambienti con destinazione d’uso privata, perlopiù adibiti a camere da letto.

In prossimità dell’ingresso si trova il tablinum, dove il dominus riceve i suoi clienti, mentre al triclinium accedono gli ospiti di riguardo durante i banchetti.

Alla destra e alla sinistra dell’atrium si aprono, invece, le alae, piccoli vani in cui si svolgono le mansioni quotidiane.

La domus ospita anche un hortus, un giardino utilizzato per coltivare fiori e frutta. Dal II secolo a.C. in poi, inoltre, si va diffondendo l’uso del peristilium, il giardino circondato da colonne, di vocazione più ornamentale.

DENTRO L'OPERA

(*) LA CASA DEL FAUNO A POMPEI

La più vasta abitazione pompeiana ad oggi conosciuta è la Casa del Fauno, che prende il nome dalla statuetta  bronzea proveniente dal suo impluvium e raffigurante un satiro danzante.

L’opera, di mirabile fattura, rappresenta uno dei rari esemplari di epoca ellenistica rinvenuti a Pompei; oggi è conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sostituita in loco da una copia fedele all’originale. La Casa del Fauno, con un’estensione di circa 3.000 metri quadri, sorprende sia per le ampie dimensioni, sia per la ricchezza decorativa dei vari ambienti.

Edificata nel II secolo a.C. e sottoposta nel secolo successivo a più ampliamenti e modifiche, questa domus vanta un raffinato peristilio, da cui si apre un elegante ambiente in origine ornato dal celebre mosaico con la Battaglia di Alessandro, oggi custodito sempre nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Inoltre, lungo le pareti della casa sono rinvenuti resti pittorici con fasce orizzontali e ornamenti riferibili al I stile pompeiano, di cui ci occuperemo nella lezione dedicata alla pittura romana.

LA DOMUS AUREA DI NERONE

Con Nerone, ultimo imperatore della discendenza Giulio-Claudia, il culto imperiale riceve un nuovo impulso, con il chiaro intento di glorificare e sacralizzare l’immagine di chi è a capo di Roma. Nerone regna dal 54 al 68 d.C. e in questo periodo si rende protagonista di una discutibile condotta pubblica e privata, che gli vale una reputazione negativa, spesso accresciuta dall’immaginario collettivo radicatosi nei secoli. Sceglie come sua prima dimora la Domus Transitoria, innalzata tra i precedenti palazzi imperiali del Palatino e dell’Esquilino per crearne un collegamento.

Nel 64 d.C., scoppia un terribile incendio nell’Urbe, causato probabilmente da frange estremiste di natura politica e religiosa. Per scagionarsi dalle accuse, il nefasto imperatore incolpa i cristiani residenti a Roma. Ne consegue un cospicuo numero di condanne a morte, tra cui si annoverano anche la decapitazione di San Paolo e la crocifissione di San Pietro.

Nerone approfitta, poi, della devastazione urbana scatenata dalle fiamme per occupare una vasta area nel centro della città in cui farsi costruire una nuova appariscente residenza, estesa per ben 80 ettari. Affida i lavori agli architetti Celere e Severo, che sotto la sua stretta sorveglianza realizzano in soli quattro anni un grandioso e lussuoso centro, una sorta di “città nella città”, una villa suburbana dotata non solo di strutture abitative, ma anche di vigneti, pascoli, boschi e di un laghetto artificiale, dove poi sorgerà il Colosseo, il cui nome fa riferimento al Colossus Neronis, una statua bronzea dell’imperatore alta addirittura trenta metri e collocata in questa sua sontuosa dimora.

Alla morte di Nerone, suicidatosi nel 68 d.C., i suoi successori per cancellarne la memoria e per restituire il suolo pubblico alla città, ne distruggono l’imponente dimora imperiale, conosciuta come Domus Aurea, “la Casa d’oro”, così denominata per le pregiate ricchezze decorative contenute. Nonostante le demolizioni, alle pendici del colle Oppio, sotto le Terme di Traiano, sopravvivono alcuni resti. Si tratta di una zona composta da circa 300 stanze e divisa in due parti da una grande corte colonnata trapezoidale. La parte occidentale, gravitante intorno a un cortile porticato, risulta più tradizionale, mentre quella orientale presenta soluzioni più innovative con ambienti dotati di originali decorazioni, che contribuiscono a creare effetti di illusionistiche dilatazioni spaziali, rivelati in particolare nella caratteristica sala ottagonale sormontata da una cupola emisferica.

Sempre nell’area orientale, sofisticati congegni  installati per sorprendere gli ospiti mediante la rotazione di una sala o aperture di soffitti da cui far scendere profumi e petali di rosa, s’inseriscono appieno in questa pretenziosa finalità di glorificazione della potenza imperiale.

VISITIAMO!

(*) LE VILLE MARITTIME DI SURRENTUM 

Tra le mete predilette dai ceti aristocratici romani per la costruzione di residenze dedicate all’otium figura anche la pittoresca costa della Penisola Sorrentina, che con i suoi terrazzamenti scoscesi sul mare ben si prestava alla tipologia articolata delle ville marittime. Questi scenografici complessi architettonici si avvalevano, infatti, di una pars rustica in genere collocata su un’altura e destinata all’agricoltura e all’allevamento,  e una pars maritima fornita di peschiere e di ambienti adibiti a una vocazione commerciale e marittima.

Gli spazi destinati all’uso residenziale erano ornati da raffinate decorazioni artistiche, nonché dotati di ninfei, piscine e terrazze panoramiche. Rampe, scale e gallerie assicuravano inoltre l’accesso diretto al mare.

Le ville sorrentine subirono danni durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ma furono ripristinate in un lasso di tempo breve.

Villa detta di Pollio Felice, Sorrento

Testimonianze di interventi riparatori si possono ad esempio rilevare nelle stratificazioni dei resti di villa Pezzolo, a Vico Equense, tra le più note della costiera. Menziono inoltre la villa di Agrippa Postumo e quella detta di Pollio Felice, entrambe situate a Sorrento; villa Pipiano di Marina della Lobra e villa di Capo Massa a Villazzano, queste ultime due nel comune di Massa Lubrense.

Della villa detta di Pollio Felice, i cui resti della pars maritima si possono ammirare lungo la terrazza dei Bagni della Regina Giovanna, si conserva un plastico esposto nelle sale del Museo Vallet di Piano di Sorrento.