Tra gli interpreti più fecondi della tarda età classica figura lo scultore ateniese Prassìtele (400/395-326 a.C.), autore di opere che esprimono con grande intensità i nuovi modi di sentire propri di questa fase storica così complessa.

L’artista predilige l’uso del marmo, che ha cura di far trattare con cere colorate, per donare all’incarnato un singolare effetto di morbidezza: le sue statue, palpitanti di vita, sembrano quasi in grado di animarsi.

Dai blocchi marmorei prendono forma le divinità olimpiche, così rappresentative dell’identità religiosa ellenica. Tuttavia, gli dei di Prassìtele non sono  concepiti come eroi epici, potenti e immortali, bensì come esseri alle prese con i propri sentimenti, di quelli più intimi e personali, sfocianti in una individualità profondamente umana.

La celebre Afrodite Cnidia(*), realizzata tra il 364 ed il 363 a.C.,  è una donna colta nell’attimo che precede o segue il bagno, dunque in un momento privato, vissuto con naturalezza e, al tempo stesso, con un cenno di timida ritrosia, come se la dea si accorgesse di essere osservata da qualcuno. Il fruitore se ne avvede lasciandosi sedurre dal coinvolgimento emotivo sprigionato dall’opera.

Le forme sinuose della bella Afrodite, frutto di un’accurata lavorazione mirante alla resa di una morbidezza carnosa del modellato, si riscontrano anche in un’opera bronzea scolpita qualche anno dopo, all’incirca nel 360 a.C., ossia nell’Apollo Sauroctono (“che uccide una lucertola”), dove il dio del Sole appare come un giovane dai  lineamenti delicati, di una bellezza languida e ancora acerba.

La giovane divinità, oggi conosciuta attraverso copie marmoree, è raffigurata in un atteggiamento rilassato, mentre è intenta a osservare il rettile adagiato sul fusto di un albero e sta per colpirlo con uno stilo, come farebbe per gioco un qualsiasi mortale.

In età classica, nessuno scultore avrebbe scelto una simile scena ludica per raffigurare un dio.

Le esili e molli membra di Apollo trovano sostegno sul tronco, inserito appositamente per  gestire l’equilibrio strutturale di questo garbato corpo ondulato e dotato di un elegante senso di cedevolezza.

Nel più tardo gruppo statuario di Hèrmes con Dioniso bambino(*), alle flessuosità formali e al ripiegamento intimistico, si aggiunge la relazione emotiva tra i due dei, legati tra loro da un’affabile complicità.

Anche qui si evince che gli dei di Prassìtele non sono caratterizzati da quel maestoso distacco divino, vincente nel linguaggio classico.

Non creano più timore in chi li osserva, piuttosto appaiono avvolti in una nuova dimensione estetica, fatta di vita vera e perseguita dall’artista attraverso un raffinato senso di grazia.

Mariaelena Castellano 

PER SAPERNE DI PIÚ ...

(*) AFRODITE CNIDIA  (364-363 a.C. ca)

La tradizione narra che Prassitele scolpì l’Afrodite Cnidia – così chiamata perché acquistata dagli abitanti di Cnido, città dell’Asia Minore – ispirandosi a Frine, un’etera(*), con ogni probabilità amante dello scultore.

La fanciulla (come riporta il testo “I supplizi capitali. Origine e funzione delle pene di morte in Grecia e a Roma”, E.Cantarella, Feltrinelli) avrebbe subito un processo per empietà dopo aver osato immergersi  nuda  nelle acque del mare di Eleusi, presso il tempio di Poseidone.

La donna sarebbe stata egregiamente difesa dal logografo Iperide, anch’egli sedotto dalla superba bellezza della sua imputata. Per farla assolvere, l’uomo l’avrebbe denudata dinanzi ai giurati, consentendo loro di ammirarne le sue sinuose e impunibili forme.

“Il Processo di Frine”, olio su tela (1861)                     di Jean Léon Gérôme (1824-1904)

Se Frine vantava un gran seguito di corteggiatori, anche l’Afrodite a lei ispirata seduceva stimatori che correvano da ogni dove per contemplarne le forme sensuali.

Gli abitanti di Cnido, per mostrarne al meglio le fattezze, la collocarono in un tempietto dotato di più aperture esterne. Lì poteva essere  ammirata in tutto il suo splendore, prima di essere trasportata nel V secolo a Costantinopoli, dove finì distrutta in un incendio.

Restano svariate copie dell’originale marmoreo prassìtelico, opera di straordinaria bellezza, in grado addirittura di far innamorare perdutamente un giovane, come racconta il letterato latino Plinio il Vecchio.

IMPARIAMO I TERMINI

(*) ETERA: Donna di liberi costumi, spesso ragguardevole per cultura ed eleganza.

DENTRO L'OPERA

(*) HERMES CON DIONISO BAMBINO (340 a.C. ca), marmo, Olimpia, Museo Archeologico.

L’opera, ritenuta da alcuni studiosi l’originale esemplare realizzato da Prassitele, si distingue per l’aspetto relazionale instaurato tra le due divinità attraverso un gioco di corrispondenze di sguardi e gesti.

Anche in questo caso, come in molte sue sculture, l’artista si avvale di elementi di sostegno atti a consentire posture flessuose, ma ben bilanciate.

Il gruppo statuario propone un racconto mitologico legato all’infanzia del dio dell’ebbrezza, nato dall’amore di Zeus con la mortale Sèmele, annientata dall’ira della gelosa Hera. La dea, adirata, perseguita anche il fanciullo, così il padre dell’Olimpo, impietosito, affida suo figlio al dio Hèrmes, incaricato di condurlo nella valle di Nisa, dove sarà allevato dalle ninfe.

Prassìtele rappresenta le due divinità in viaggio verso la valle, cogliendole in un momento di sosta, in cui si può percepire l’affetto protettivo di Hèrmes nei confronti del piccolo Dioniso.

Anche in quest’opera, i corpi sono modellati con gran cura nella trattazione del marmo, sempre ben levigato per fornire una straordinaria impressione di naturalezza.

Inoltre, a ben guardare, la superficie marmorea presenta un suggestivo “effetto pittorico”, ricavato dai delicati trapassi delle colorazioni e da quei consistenti addensamenti di luci e ombre, che contribuiscono a rendere questo gruppo statuario un mirabile esempio del tardo classicismo ellenico.