La produzione scultorea degli Etruschi, essenzialmente votata a un ambito religioso, votivo e funerario, risente in modo notevole dell’influsso stilistico greco. Tuttavia, ciò non implica vi sia una realistica imitazione del vero, alimentata da quelle dovute attenzioni alla resa delle proporzioni e dei particolari. Ciò che conta nella plastica etrusca è piuttosto l’esaltazione dell’aspetto comunicativo: attraverso un linguaggio semplice, si punta così a una vitale e vivace immediatezza espressiva.
Un primo esempio di modellazione a tutto tondo è fornito dai canòpi, urne create per la conservazione delle ceneri e decorate con forme antropomorfe, in genere simboleggianti lo stato sociale del defunto.
Un settore plastico di gran rilievo è poi quello destinato alla realizzazione dei sarcofagi, caratterizzati dalla rappresentazione del defunto adagiato sulla klìne, il letto usato per i banchetti. Spesso, accanto all’uomo figura anche sua moglie in modo da richiamare il conforto dell’ambiente familiare.
Tra gli esempi più significativi, segnalo il noto “Sarcofago degli sposi”, risalente all’incirca al 520 a.C. e proveniente da Cerveteri. L’opera è chiaramente ispirata agli stilemi arcaici greci, come attestano gli occhi a mandorla e il sorriso dei due personaggi raffigurati.
Interessante risulta, poi, la ricca produzione fittile legata all’architettura sacra: antefisse, acroteri e rilievi di edifici templari testimoniano anch’essi la vivace verve creativa etrusca.
Ne è un esempio l’Apollo in terracotta, proveniente dal Tempio di Veio (Roma), attribuito all’artista Vulca e collocabile all’incirca tra il 510 e il 490 a.C.
Tra le migliori realizzazioni della statuaria votiva bronzista figurano, invece, la Lupa Capitolina(*)(inizi del V sec. a.C.), la Chimera d’Arezzo(*) (fine del V – inizi del IV secolo a.C.) e l’Arringatore (fine del II – inizi del I sec a.C.).
In quest’ultima, risalente a un periodo ormai tardo, si respira già l’imminente passaggio al mondo romano, da cui la cultura etrusca sarà assorbita. La statua, che ritrae il patrizio Aule Metèli, non aderisce con pienezza ai dettami del linguaggio classico ellenico, eppure riesce a esprimere un severo senso di dignitosa autorevolezza, ravvisabile nell’espressività del volto, come nel gesto severo del braccio destro proteso in alto.
Ed è a questa resa comunicativa così immediata ed efficace che guarderà l’arte romana, di cui avremo modo di occuparci nelle prossime lezioni, non prima di completare lo studio dell’esperienza artistica etrusca con la trattazione dell’ambito pittorico, nel prossimo appuntamento di “Scacco all’Arte con la Prof“.
Mariaelena Castellano
PER SAPERNE DI PIÙ…
(*) LA LUPA CAPITOLINA: OPERA ETRUSCA O MEDIEVALE?
La Lupa Capitolina. è caratterizzata da un’intensa e quasi grottesca vivacità espressiva, acuita dalla ferocia del volto e dall’eccessiva magrezza del torace. Fu scoperta nel X secolo ed è stata ritenuta da sempre un esempio di bronzistica etrusca del V secolo a.C.
Al XV secolo risalgono, invece, le due figure di Romolo e Remo, aggiunte come richiamo al racconto mitologico dei due gemelli fondatori di Roma, allattati da una lupa.
Recenti studi storico-artistici mettono in dubbio la paternità etrusca di questa celebre opera. Negli ultimi decenni, infatti, indagini più dettagliate condotte sulle tecniche lavorative del bronzo fanno propendere per una collocazione cronologica della scultura in epoca medievale. In base a queste considerazioni, la maggior parte degli studiosi ritiene come ipotesi più accreditata che la Lupa dei Musei Capitolini sia un calco medievale di un originale etrusco.
DENTRO L'OPERA
(*) LA CHIMERA DI AREZZO – V-IV secolo a.C., Firenze, Museo Archeologico Nazionale
Tra le migliori realizzazioni della bronzistica etrusca figura la Chimera di Arezzo, prodotta con ogni probabilità da un gruppo di artigiani in cui si distinguono anche maestranze della Magna Grecia, come documenta la scelta iconografica del mitico mostro ripreso dalla cultura ellenica. Scoperta ad Arezzo intorno alla metà del Cinquecento, la Chimera è una scultura votiva destinata alla divinità Tinia, come attesta l’incisione del nome sulla zampa. L’ibrida creatura consiste in un leone a grandezza quasi naturale, con un serpente in sostituzione della coda, mentre dal dorso emerge una testa di capra che vomita fiamme.
L’aspetto feroce della belva è accentuato dalle fauci spalancate, mentre le zampe protese in avanti rendono l’idea della sua posizione difensiva, con l’allusione al mitico eroe Bellerofonte, incaricato di ucciderla. L’opera è stata sottoposta a numerosi restauri, che ne hanno incrinato il significato iniziale. In particolare, l’intervento del 1785 ha modificato la posizione della coda, in origine direzionata nello stesso verso del leone. Oggi, invece, il serpente si volge verso la capra per morderne le corna. Tuttavia, questa incomprensibile alterazione non ha pregiudicato la vivezza espressiva della Chimera, né la sua verve realistica, svincolata dalla mimesi e proiettata all’esaltazione degli aspetti più pittoreschi della natura.