Nel fermento sperimentale dei primi decenni del Novecento si diffonde anche la convinzione che un’opera, prima ancora di rappresentare una qualsivoglia raffigurazione, è un insieme di colori disposti secondo un ordine. 

Da questa riflessione prende avvio l’Astrattismo, un nuovo e rivoluzionario modo di fare arte, che prende man mano le distanze dalla figuratività. 

Seguendo l’innovazione di una linea di pensiero affiorata sin dagli ultimi decenni dell’Ottocento, l’artista si svincola dal compito secolare di rappresentare fedelmente la realtà che lo circonda, fino ad approdare poi a un abbandono della figuratività e, dunque, a un’arte atta ad esprimere le emozioni attraverso il libero utilizzo di colori, linee e materie.  

Da questo modus operandi emergono composizioni indipendenti da ogni riferimento visuale, pervenendo a un’idea di bellezza sempre più svincolata dalla realtà.

Colori e linee devono scuotere chi fruisce dell’opera, per liberare ed elevare la sua più intrinseca spiritualità, nonché le sue più immediate sensazioni, i pensieri, le ispirazioni. 

La via per giungere all’astrazione non è univoca. Tra i molteplici percorsi, sperimentati e portati avanti da artisti di differenti nazionalità, emergono l’Astrattismo lirico, il Neoplasticismo, il Suprematismo e il Costruttivismo. 

“DER BLAUE RAITER” E ASTRATTISMO LIRICO.

Nel 1909 a Monaco di Baviera, città distinta da una vivace e feconda scena culturale, viene fondata la Nuova Associazione degli artisti di Monaco, a cui aderiscono anche storici e poeti. 

Si tratta di un movimento votato all’innovazione e ispirato dalle accese cromie dei Fauves francesi.

Tra le personalità di spicco dell’associazione figurano, in particolare, il russo Vasilij Kandinskij e il bavarese Franz Marc, i quali -dopo il repentino scioglimento del gruppo, a causa di contrasti interni- danno vita a una nuova realtà, chiamata “Der Blaue Reiter”, ovvero “Il Cavaliere azzurro”.  

La scelta del nome è frutto del caso: Kandinskij e Marc, dinanzi a una tazza di caffè, scoprono che a entrambi piace il blu, il colore del cielo, allusione al senso di libertà a cui si aspira. Marc, inoltre, ha una predilezione per i cavalli e Kandinskij per i cavalieri. 

“Der Blaue Reiter” diventa così il titolo di un annuario e, al tempo stesso, di un nutrito raggruppamento di artisti che si identifica nei contenuti in esso proposti. Si tratta di una formazione variegata, con personalità di diversa provenienza, tra cui il tedesco Auguste Macke e lo svizzero Paul Klee. 

Alla seconda mostra partecipano anche alcuni esponenti di Die Brucke, ma tra i due orientamenti si pongono sostanziali differenze. Cambiano i soggetti e cambiano le finalità operative: Der Blaue Reiter propone simbolismi e temi tratti dalla tradizione popolare finalizzati a suscitare emozioni. L’artista attraverso la ricerca dell’armonia di linee e colori ha il compito di scoprire l’essenza spirituale delle cose. I colori, stesi a piccoli tocchi, non sono naturalistici ed emanano una vitalità spirituale che pone in relazione l’uomo con il puro concetto di arte.    

Quest’esperienza ha però vita breve: lo scoppio della Prima Guerra mondiale ne interrompe bruscamente le innovative sperimentazioni e l’ultima mostra organizzata risale proprio al 1914, l’anno in cui scoppia il conflitto. 

Due anni dopo Franz Marc, una delle voci portanti del gruppo, muore sul fronte francese, lasciando a suo perenne ricordo un’opera pittorica densa di spunti riflessivi.

Egli predilige la rappresentazione del mondo naturale, in particolare degli animali, per recuperare così una dimensione più genuina, perduta con il progredire della civiltà urbana.

Per studiare più a fondo la natura, Marc indaga sull’istintività degli animali, per poi umanizzarli e rappresentare tramite essi la complessa varietà dei sentimenti umani.   

Auguste Macke, invece, propone soggetti legati agli svaghi della vita urbana: il circo, il teatro, le passeggiate nei parchi o allo zoo, le soste dinanzi alla vetrina di un negozio…

Il suo linguaggio, alimentato dagli influssi dei fauves e dei cubisti, mette in scena equilibrate composizioni dalla forte connotazione decorativa.   

Altra personalità di spicco in Der Blaue Reiter è Paul Klee. La sua permanenza nel  gruppo è breve, ma da questa esperienza egli trae le basi fondamentali del suo percorso, così come da un viaggio in Tunisia, dove nella tersa luminosità  del continente africano, i colori gli si rivelano in tutta la loro espressività. 

Il colore diventa così un elemento basilare della sua pittura e concorre all’interpretazione della natura attraverso lo sguardo dell’artista. 

In questa scoperta del creato, il linguaggio di Klee  non si affranca mai completamente dalla figuratività: egli cerca piuttosto di mantenere un legame con la realtà, di cui l’arte deve porsi come un’allegoria, per mostrare altre inedite visioni. Ciò si evince in particolare nei ricorrenti soggetti legati ai giochi e ai sogni del mondo dell’infanzia, resi tramite l’essenzialità di un disegno semplificato e ridotto a pochi tratti. 

Non si può parlare di astrattismo vero e proprio nemmeno per la serie di dipinti scanditi da un rigoroso reticolato geometrico, in cui permane comunque un vigile riferimento alla figuratività. 

Vasilij Kandinskij perviene, invece, a una piena astrazione, in linea con le sue riflessioni sulle affinità tra l’arte e la musica. Secondo l’artista, infatti, un sapiente accostamento armonico tra linee e colori può produrre le stesse emozioni suscitate dalla musica.

Si può quindi comprendere l’intitolazione di molti suoi dipinti con nomi che ricordano le partiture musicali, come le serie di Composizioni e Improvvisazioni.

Risale al 1910 il suo primo acquerello astratto, uno studio per un dipinto che realizzerà tre anni dopo, formato da macchie di colore e segni di matita e penna, armonizzati tra loro in un fluire di emozioni. 

Kandinskij compie questo passo dopo una prima fase figurativa in cui emergono dapprima le influenze decorative  dello Jugendstil (“Il cavaliere azzurro”, “Coppia a cavallo”, “La varietà della vita”) e poi, in un secondo momento, quelle dei Fauves (“Murnau. Cortile del castello”).

Quindi, matura le sue personali considerazioni sull’inutilità di un soggetto riconoscibile per il raggiungimento della bellezza armonica di un’opera. Un giorno, quando è nel suo studio, alla luce del tramonto, rimane colpito da un dipinto in cui non si identifica alcuna figurazione. Esso si presenta ai suoi occhi in modo suggestivo ed enigmatico, finché egli non si rende conto che si tratta di un suo quadro, messo per errore al contrario. Da quel momento, comprende che l’arte può fare a meno della secolare tradizione naturalistica risalente alla cultura greco-romana, per ambire a un altro tipo di bellezza, fondato piuttosto sull’astrazione delle forme e dei colori. 

Ne deriva un’arte protesa a esprimere la più intima e pura interiorità, approdando così a quello che viene definito l’Astrattismo lirico. 

DE STIJL E NEOPLASTICISMO

In Europa, durante il primo conflitto mondiale, la scena artistica internazionale si concentra perlopiù nei paesi rimasti neutrali. 

Risale al 1917 la fondazione della rivista De Stijl (in olandese “lo stile”), fondata nei Paesi Bassi, da Theo Van Doesburg e Piet Mondrian. 

Per estensione di significato, questa denominazione indica il movimento di artisti che si forma attorno alla rivista, concepita da subito come mezzo ufficiale di divulgazione.

Vi aderiscono architetti, scultori, grafici e pittori, desiderosi di pervenire a un nuovo linguaggio astratto, fondato su un rigoroso equilibrio geometrico e chiamato “Neoplasticismo”.  Il nome deriva dal titolo di un saggio dell’olandese Piet Mondrian (1872-1944), personalità di spicco del gruppo. Egli protende a una nuova arte, di cui fornisce i fondamenti basilari, pervenendo così a una pittura scandita dalla regolarità di semplici campiture, rettangolari o quadrate, definite da marcate linee nere. I colori utilizzati, oltre al nero degli spessi contorni, sono il bianco e i tre primari, rosso, giallo e blu. 

L’esclusione di linee curve e di cromie complementari rivela la volontà di perseguire un ordine ben definito, libero da ogni soggettività, in modo da non alterare quell’equilibrio compositivo universale e assoluto a cui si aspira. 

Gli schemi asimmetrici proposti sono di volta in volta diversi, ma sempre organizzati in un’armonica visione geometrica, bisognosa di ristabilire un ordine razionale, anche come reazione agli sconvolgimenti e al caos della guerra. 

Piet Mondrian e gli artisti neoplastici mirano alla definizione di un linguaggio comune a tutte le arti, privo di prevaricazioni individuali; un linguaggio astratto, svincolato dal compito di rappresentare qualcosa, per svelare semplicemente l’essenza più pura e genuina dell’arte. 

La codificazione di questo nuovo linguaggio, oltre a modernizzare l’arte, intende anche rinnovare e migliorare la società, veicolando il pubblico alla fruizione e all’apprezzamento delle innovazioni neoplastiche. 

Del resto, Mondrian giunge all’astrazione formale dopo un lungo percorso scaturito da un suo personale e graduale affrancamento dalla figuratività. 

Questo percorso è ben documentato dai noti paesaggi con alberi (“Albero rosso” (1908-10), “Albero grigio” (1911), “Melo in fiore” (1912), dove da una riconoscibilità figurativa si passa alla dissoluzione della forma, in una progressiva tendenza alla purezza dell’astrazione geometrica.

IL SUPREMATISMO 

Nella Russia di inizio Novecento, prima e dopo la Rivoluzione del 1917, l’arte si apre alle tendenze contemporanee, pervenendo così all’esperienza dell’astrattismo. 

Nel 1914 il pittore russo Kazimir Malevic (1878-1955) fonda il “Suprematismo”, un movimento che sancisce la libertà individuale dell’artista, libero di rinunciare alla rappresentazione del reale, per approdare a un’estrema semplificazione della forma, che nella sua purezza geometrica giunge all’essenzialità di una visione “suprema”.

Il termine “Suprematismo” sta ad indicare proprio questa esigenza di pervenire a una pura sensibilità, priva di condizionamenti legati alla riconoscibilità della realtà. 

Inizialmente influenzato dai modi di impressionisti, fauves e cubo-futuristi, Malevic formula man mano le sue teorie sulla necessità di prendere le distanze dalla figuratività, per pervenire così al vero senso dell’arte. 

Risale al 1915 l’esposizione del suo noto dipinto  “Quadrato nero su fondo bianco”, dove appunto un grande quadrato nero campeggia su di un fondo bianco. L’opera, presentata nella mostra intitolata “0.10. Ultima mostra futurista”,  viene provocatoriamente posizionata in un angolo, in alto, dove di solito nelle case russe trovano posto le icone cristiane. Un modo, questo, per sancire una radicale chiusura nei confronti della tradizione. Il nero oscura ogni spiraglio, chiude la strada al vecchio percorso figurativo e, al tempo stesso, apre nuovi significativi orizzonti, pervasi da una sottile poetica nichilista e da un’aura di rarefazione che riscuoterà gran seguito nei successivi sviluppi dell’arte del Novecento.  

IL COSTRUTTIVISMO  

Sempre in Russia, nel 1913, nasce il movimento del Costruttivismo, caratterizzato da una vocazione spiccatamente sociale, relazionata alle dinamiche storiche in cui versa il paese.

Gli ideali rivoluzionari e le condizioni del proletariato confluiscono così in un linguaggio  che mira a un ampio coinvolgimento nella fruizione delle opere, non più destinate a una ristretta cerchia di estimatori, ma aperta anche ai ceti sociali più umili, in linea con l’ideologia socialista. S’intende dunque aspirare alla formazione di una nuova società, alla “costruzione” di nuovi valori, artistici e sociali, in linea con gli ideali rivoluzionari.

Il Costruttivismo può considerarsi un prosieguo delle correnti futuriste russe, qui evocate nella fiducia nel progresso e nella ricerca d’ispirazione nelle nuove tecnologie e nei prodotti industriali. 

Esso nasce in un momento di profondi cambiamenti e si apre ai più svariati ambiti operativi: dall’architettura al design, dal teatro alla fotografia, dall’arredamento alla grafica pubblicitaria. Quest’ultima assume un ruolo fondamentale nella diffusione immediata di ideali e messaggi attraverso immagini di grande impatto comunicativo.

Si osservi, ad esempio, il manifesto pubblicitario “Knigi” (Libri) di Alexsandr Rodcenko (1891-1956), voce di spicco del movimento. 

Emerge, inoltre, il nome dell’artista Vladimir Tatlin (1885-1953), la cui attività è finalizzata all’ esigenza di conferire espressività e innovazione alle tecniche operative.

Tra il 1919 e il 1920 esegue il progetto per un Monumento alla Terza Internazionale, mai realizzato. Lo stesso modello originale è andato perduto e oggi si può ammirare una sua ricostruzione al Centre Pompidou di Parigi. 

L’opera consiste in una torre spiraliforme inclinata, la cui struttura consiste in un traliccio in ferro e vetro, dipinto di rosso, il colore della rivoluzione. Al suo interno trovano posto tre solidi trasparenti, in cristallo, rotanti a diverse velocità. 

Un progetto avveniristico, questo, pensato  per esaltare il concetto di dinamismo e le capacità espressive delle tecniche costruttive. Attraverso il meccanicismo e l’impiego sperimentale dei materiali industriali, l’artista si pone come tecnico costruttivista, nonché come garante di un fondamentale ruolo sociale dell’opera.  

M. Castellano