Dopo il primo conflitto mondiale l’Europa vive una condizione di grande instabilità politica, economica e sociale. Dopo le immani devastazioni subite, emerge fortemente l’esigenza di creare le condizioni per riformulare una nuova società, a partire da una nuova impostazione delle città. 

La crescente urbanizzazione e l’intenso sviluppo demografico, già emersi sul finire del XIX secolo, coinvolgono appieno la figura dell’architetto, chiamato a ricostruire e rimodulare gli spazi abitativi e lavorativi alla luce di una visione moderna, fondata sulle odierne esigenze e sull’utilizzo delle nuove tecnologie costruttive e dei nuovi materiali. 

Prima della Grande Guerra, l’architettura del Novecento si è aperta con l’esperienza decorativa dell’Art Nouveau, gradualmente esauritasi nella sterile ripetizione di stilemi floreali e raffinate ornamentazioni. 

Tuttavia, nei paesi dell’Europa Centrale, maggiormente segnati dall’incremento industriale, già in questi anni prebellici prende avvio un linguaggio improntato alla semplicità e alla funzionalità.

Significativa, in particolare, l’esperienza dell’architetto e designer tedesco Peter Behrens, autore del progetto per la Fabbrica di Turbine AEG di Berlino (1909), singolare esempio di connubio tra la sobria monumentalità di ascendenza classica e la rigorosa funzionalità di un edificio industriale. 

La sua esperienza, unitamente a quella di altre personalità artistiche, crea delle significative premesse al fecondo clima culturale che segna il prima dopoguerra, quando i concetti di razionalismo e di funzionalità degli spazi prendono forza, avallati dalla necessità di sfruttare tutte le  potenzialità della tecnologia e dei materiali più innovativi. 

Negli anni Venti si fa sempre più strada l’idea di un’architettura moderna, che rompa decisamente con la tradizione per proiettarsi alla definizione di un linguaggio semplice e garante dei bisogni di una società più progredita. 

Nasce così il Movimento Moderno, improntato su un’architettura democratica, che possa essere compresa e fruita da tutti, attraverso forme essenziali e costi accessibili. 

Alla base di questa visione si pone il linguaggio razionalista, caratterizzato da una logica funzionale degli spazi, nonché dall’impiego di forme nette, con il rifiuto degli elementi superflui e la predilezione di linee e angoli retti; emerge, poi, una standardizzazione, ovvero l’uso di elementi prefabbricati di dimensioni uguali o multiple, con la conseguente possibilità di abbassare i costi dell’opera.

Al di là di questi elementi basilari, l’architettura razionalista presenta caratteri diversi a seconda dei paesi in cui si diffonde, pervenendo così a un quadro culturale variegato e denso di spunti riflessivi.

La necessità di creare un confronto e un dibattito tra le diverse posizioni fondate sui principi della razionalità e della funzionalità degli spazi, si attua a partire dal 1928 con i CIAM, i Congressi Internazionali di Architettura Moderna, a cui partecipano i più noti architetti del tempo.

In particolare, nel corso del quarto congresso, tenutosi in Grecia nel 1933, viene promulgata la Carta di Atene, testo basilare dell’architettura e dell’urbanistica moderna, incentrato sulla necessità di progettare al meglio gli spazi delle città, per coniugare in modo armonico le quattro esigenze principali dei cittadini: abitare, lavorare, circolare e divertirsi.  

Tra i fondatori dei CIAM e tra i sostenitori dei princìpi emersi nella Carta di Atene, emerge la figura dell’architetto svizzero Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Edouard-Jeanneret (1887-1965), stabilitosi sin dal 1907 a Parigi, dove fonda la rivista “L’Esprit Nouveau”, che tra il 1920 e il 1925 si pone come importante punto di riferimento per “un’architettura nuova”. 

Il linguaggio annunciato da Le Corbusier si basa sull’impiego del cemento armato, ovvero un cemento ricavato da una cottura ad altissime temperature e, soprattutto, rinforzato dall’inserimento al suo interno di grate in acciaio.

Questo materiale consente la realizzazione di edifici a pianta  e facciata libera, dove le mura interne ed esterne sono svincolate dai condizionamenti della funzione portante, ora assolta dai pilotis, sottili pilastri portanti. Essi partono dalla base dell’edificio consentendone un’area libera sottostante, utilizzabile come giardino. Il verde trova posto anche nel tetto-giardino, mentre la luminosità degli spazi si alimenta dalle finestre a nastro, ovvero grandi aperture sviluppate in orizzontale, grazie all’affrancamento della funzione portante delle mura perimetrali. 

Pilates, tetto-giardino, pianta libera, facciata libera e finestra a nastro rappresentano i cinque punti fondamentali della nuova architettura razionale concepita da Le Corbusier. Essi sono ben evidenti nella nota Ville Savoye a Poissy, a circa trenta chilometri da Parigi. 

Costruita dal 1928 al 1931 come seconda casa per una coppia parigina, la villa risponde pienamente alla logica purista e funzionale del linguaggio moderno lecorbusiano. 

Un’altra significativa personalità nel panorama architettonico razionalista del primo Novecento è rappresentata da Walter Gropius (1883-1969), allievo di Peter Behrens e da subito impegnato nella possibilità di coniugare i princìpi del funzionalismo e dell’industrializzazione all’estetica artistica. Egli coglie tutte le potenzialità dei nuovi materiali puntando a una visione moderna, chiara e razionale. 

Un mirabile esempio del suo rigoroso linguaggio si può cogliere a Dessau, nella Germania centro-orientale, nell’edificio adibito a sede del Bauhaus(*), progettato e realizzato tra il 1925 e il 1926. 

Il complesso, realizzato in ferro, vetro e intonaco bianco, senza alcuna concessione a elementi decorativi, è uno dei capisaldi dell’architettura moderna del primo Novecento. E’ articolato in tre blocchi a forma di parallelepipedo che si incastrano tra di loro formando una doppia L. Essi sono collegati da un corridoio coperto sospeso su pilastri di calcestruzzo e a ogni corpo di fabbrica corrisponde una funzione. Anche le aperture rispondono a una logica funzionale: ampie vetrate per i laboratori, lunghe finestre a nastro per le aule e gli uffici amministrativi, singole finestre per gli alloggi. Come per Le Corbusier, l’impiego del cemento armato consente la libertà progettuale nelle facciate e negli spazi interni, rendendo questa struttura uno dei più alti esempi di architettura razionalista del tempo. 

Il fervore costruttivo dell’Europa degli anni Trenta viene interrotto bruscamente dall’avvento della Seconda Guerra Mondiale: nel 1937 Gropius lascia la Germania nazista per emigrare inegli Stati Uniti, dove si dedica all’insegnamento. 

L’anno seguente, anche un altro celebre architetto tedesco, direttore del Bauhaus dal 1930 al 1933, ovvero Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969) si sposta negli Stati Uniti, dove continua il fervore sperimentale della sua ricerca razionalista. 

I suoi progetti sono segnati da un’assoluta essenzialità formale, depurata da decori e distrazioni: “Il meno è più” soleva affermare in virtù di questa sobria visione purista dell’architettura. 

Approdato negli USA, ha modo di approfondire il suo percorso, già fondato negli anni europei sulla ripetizione di elementi modulari. In particolare, nel nuovo continente, si dedica alla realizzazione di grattacieli, quali il noto Seagram Building (1958), un edificio per uffici situato nel centro di New York, uno degli esempi più rappresentativi del movimento architettonico moderno. 

La monumentale struttura si protende verso l’alto, con i suoi 39 piani distribuiti in circa 160 metri, presentandosi in tutto il suo essenziale rigore formale, come un raffinato prisma di cristallo, le cui vetrate riflettono tutta la vita urbana della metropoli statunitense. 

Ed è sempre negli Stati Uniti che prende avvio una differente esperienza razionalista, maturata attraverso il linguaggio di Frank Lloyd Wright (1867-1959), capofila dell’architettura organica.

Per Wright l’edificio va considerato come un organismo vivente, un individuo singolo e autonomo, ma armonicamente integrato allo spazio circostante: struttura costruttiva e paesaggio sono dunque un tutto unico e ciò si evidenzia anche in base alla scelta di materiali naturali. 

I princìpi dell’architettura organica di Wright sono particolarmente evidenti nella progettazione di Casa Kaufmann, più nota come “Casa sulla cascata“(1936), opera che lo consacra a livello internazionale tra i più affermati architetti del tempo.

L’abitazione, situata in Pennsylvania, in prossimità di una cascata, dialoga con la natura: il fiume, le rocce e la vegetazione si amalgamano ai suoi volumi essenziali, dando luogo a un armonico insieme che, data la forte compenetrazione, può essere ammirato da scorci differenti, senza mai svelarsi nella sua interezza. 

Casa Kaufmann è formata da una serie di piani orizzontali, proiettati in direzioni plurime e sostenuti da quattro grandi pilastri di pietra. La successione di queste grandi terrazze allude alla stratificazione delle rocce del corso d’acqua che scorre nei pressi dell’edificio, sancendo così lo stretto connubio con il paesaggio. 

Inoltre, l’abile utilizzo del cemento armato e dei materiali moderni si combina con l’impiego dei materiali più tradizionali, con il chiaro intento di accordare la più innovativa impostazione architettonica a una visione comunque radicata nella tradizione locale.

Anche in un’opera più avveniristica e situata nel mezzo di un centro urbano come il Guggenheim Museum di New York (1956-59), Wright riflette sul rapporto tra edificio e natura, proponendo una singolare forma elicoidale, intesa come una grande conchiglia che si espande verso l’alto.   

   

Nell’originalità della sua strutturazione, l’edificio inaugura un’ampia serie di musei concepiti essi stessi come opere garanti di una suggestiva esperienza fruitiva.

M. Castellano

IL BAUHAUS 

Il Bauhaus, “casa del costruire”, fondato da Gropius a Weimar, nel 1919, rappresenta un fondamentale punto di riferimento dell’esperienza architettonica razionalista tra le due guerre. 

La Germania, nonostante la difficile situazione economica e sociale seguita dopo la sconfitta nel primo conflitto, vive un periodo di gran fervore culturale, testimoniato anche dal Bauhaus, una delle più stimolanti esperienze didattiche del tempo. 

Il Bauhaus è una scuola di architettura, nata dall’unione dell’Istituto superiore di Belle Arti e della scuola d’Arte applicata del Granducato di Sassonia, con l’intento di fornire un’idea unitaria di architettura attraverso tutte le attività artistiche, dalla scultura alla pittura, dalle arti applicate all’artigianato, finanche a comprendere le nuove tecnologie e l’industrializzazione. 

A questa visione unitaria delle arti concorrono le lezioni teoriche, così come le formazioni pratiche, il tutto portato avanti da insegnanti reclutati tra i principali esponenti del panorama artistico internazionale, quali Vasilij Kandinsky e Paul Klee.  

Il Bauhaus è una scuola pubblica, innovativa e democratica, frequentata anche da una nutrita componente femminile. Gli studenti studiano e vivono insieme, come nelle scuole dell’antichità greca. Ciò consente la creazione di stimolanti momenti di confronto e dibattito in una feconda logica di condivisione, riscontrabile anche nei momenti di svago e nella celebrazione di feste, atte a coinvolgere anche la popolazione di Weimar. In questa cittadina della Turingia, nello stesso anno della fondazione della scuola di Gropius, viene approvata la Costituzione dell’ordinamento repubblicano tedesco sorto tra le due guerre e chiamato appunto “Repubblica di Weimar” (1919-1933). 

Tuttavia, nel 1924, questioni politiche e sospetti di attività sovversive da parte del governo della Turingia, portano alla chiusura della scuola, che riapre l’anno successivo a Dessau, a sud di Berlino. 

In questo periodo il Bauhaus si apre all’innovazione dell’industrial design e si arricchisce di altri laboratori. Ma l’ascesa del regime nazista crea ulteriori tensioni: nel 1932 la scuola viene trasferita a Berlino, per poi essere chiusa definitivamente nel 1933, nello stesso anno in cui cessa anche l’esperienza della Repubblica di Weimar.  

MONUMENTALISMO E RAZIONALISMO NELL’ITALIA DEL PRIMO DOPOGUERRA

In Italia, negli anni tra le due guerre, gli architetti risentono del clima internazionale di rinnovamento auspicato dal movimento moderno. Anch’essi puntano al rigore e alla funzionalità del Razionalismo, prendendo le distanze dalle sterili e ridondanti ripetizioni degli stilemi del passato. 

La partecipazione del nostro paese alle tendenze moderne è caldeggiata anche dal regime fascista, interessato a promuovere la propria immagine attraverso un incremento dei lavori pubblici, garantendo così più occupazione e proponendo un rinnovo e un miglioramento dei tessuti urbani delle grandi città. 

Ciò determina la possibilità di lungimiranti confronti e accesi dibattiti culturali, inesistenti in altri paesi segnati dalle politiche dittatoriali. 

Riviste e movimenti di settore animano dunque la scena architettonica italiana degli anni Venti e Trenta, confluendo in una serie di iniziative e opere tese a compiacere il regime coniugando l’esigenza di modernità al tradizionale monumentalismo italiano.

Ne deriva un linguaggio che se pur veicolato dal desiderio di innovazione, si fa portavoce di una visione strettamente associata alla politica fascista.

Tra le voci più significative emerge quella di Giuseppe Terragni (1904-43), che nel 1926 fonda a Milano,  insieme ad altri sei architetti, il Gruppo 7, poi confluito nel MIAR (Movimento Italiano Architettura Razionale). 

Tra il 1932 e il 1936 viene realizzata la sua Casa del Fascio a Como, oggi Casa Terragni, attualmente adibita a sede dell’Arma dei carabinieri della città. 

I volumi nitidi, i giochi asimmetrici ma proporzionati e l’impiego dei materiali moderni fanno di questo edificio un esempio del linguaggio razionalista, mentre al tempo stesso l’uso del marmo e la sobria monumentalità dialogano con gli antichi edifici dell’illustre passato romano.   

Il riferimento alla tradizione architettonica di Roma diventa sempre più esplicito con l’aumento del potere fascista: enormi edifici in marmo e travertino assumono una veste monumentale, mentre ampi spazi urbani vengono reinterpretati secondo ardite impostazioni scenografiche, atte a manifestare la fastosa magniloquenza del regime. 

Portavoce di questa declinazione del linguaggio razionalista italiano è Marcello Piacentini (1881-1960), talentuoso progettista, la cui vena ideologica tradisce tuttavia un linguaggio sminuito da una retorica di compiacimento politico. 

Ne è un noto esempio il Palazzo di Giustizia di Milano, edificato tra il 1939 e il 1940. 

Interamente rivestito di marmo, esso si caratterizza per il ritmo serrato delle alte finestre e per l’enfasi ridondante delle iscrizioni.  

L’operato di Piacentini rientra appieno nella logica esaltante del Duce, che non manca di affidargli importanti incarichi, quali l’ambizioso progetto per la realizzazione dell’E42, poi denominato EUR, ampio quartiere a Sud di Roma, avviato dal 1937 per ospitare l’Esposizione Universale che avrebbe dovuto svolgersi nel 1942, in occasione del ventennale del regime.

Qui l’ideologia fascista raggiunge l’apice della sua monumentale grandiloquenza, riducendo quella stimolante ventata di modernità auspicata dagli architetti razionalisti italiani alle fastosità di un’arte al servizio del potere politico.