In età romanica , come già evidenziato per le opere scultoree, anche le produzioni pittoriche si pongono in stretta relazione allo sviluppo delle architetture, di cui rappresentano un importante elemento decorativo. 

Le massicce mura degli edifici concedono poco spazio alle aperture e vengono dunque ricoperte da ampi cicli di affreschi, con iconografie educative, pensate per indicare ai fedeli la via della salvezza.

In genere, le vele delle crociere, le pareti esterne e interne ospitano affreschi, mentre gli intradossi degli archi, alcune porzioni della facciate, i pavimenti, le absidi e i catini sono impreziositi da ornamentazioni musive.

Da un punto di vista stilistico, se nelle aree dell’Europa centro-settentrionale s’impongono maggiormente le eredità carolinge e ottoniane, a Venezia e nelle regioni dell’Italia meridionale prevalgono gli stilemi bizantini. In ogni caso, rispetto alla cultura figurativa altomedievale, le scene dipinte risultano ora caratterizzate da una maggiore resa espressiva e da un più concitato senso del movimento, mentre i volumi restano appena accennati e ancora segnati da contorni netti.

Ad oggi, tuttavia, risultano poche le testimonianze pittoriche pervenute dai secoli romanici, sia per successivi interventi di ricoperture con intonaci, sia per i deterioramenti subiti con il trascorrere del tempo.

Tra gli affreschi meglio conservati, segnalo quelli ben noti della Chiesa di San Michele Arcangelo, in Sant’Angelo in Formis, presso Capua (Caserta).

Passando alle testimonianze musive, nella Sicilia normanna, meritano menzione i raffinati stilemi bizantini dei mosaici della Cappella Palatina a Palermo, dai lucenti fondi in oro, e quelli del decoro absidale della Cattedrale di Cefalù, dove la maestosa figura del Cristo Pantocratore è resa da un’espressione più umana e da una maggiore attenzione agli scorci, come rivela la mano destra benedicente.

In entrambe le opere, l’adesione agli stilemi bizantini mostra la volontà dei sovrani normanni di legittimare il proprio potere attraverso un linguaggio sfarzoso e appariscente, che evochi gli ideali di razionalità ed equilibrio.

Anche se mosaici e affreschi rivestono un ruolo significativo nel decoro degli edifici romanici, ancora più capillare risulta la divulgazione delle miniature, che in questi secoli conoscono uno straordinario sviluppo, presentando caratteri piuttosto omogenei.

Se la cifra stilistica assume una maggiore verve espressiva, le iconografie restano perlopiù quelle già esaminate nel periodo altomedievale, a cui si aggiungono illustrazioni ispirate ai lavori e alla vita quotidiana, nonché a visioni più fantasiose, in accordo con le coeve tematiche scultoree.

La produzione dei codici miniati, come già nei secoli precedenti, è portata avanti dai monasteri, dove si allestiscono appositamente degli scriptoria. Celebre la testimonianza dello scriptorium dell’abbazia benedettina di Montecassino, di cui si conservano oltre 70 000 volumi spostati dal monastero prima della sua distruzione, a seguito del rovinoso bombardamento del 1944.

Lezionario dalla Biblioteca di            Montecassino

Accanto alla tipologia del codice figurano anche alcuni esempi di rotoli di pergamena usati per scopi liturgici durante la veglia pasquale; si tratta dei cosiddetti Exultet, “Esulti!“, che prendono nome dalla prima parola dell’inno cantato nella celebrazione santa.

Gli Exultet sono corredati da raffinate immagini abbinate ai testi di inni, canti e preghiere recitate dall’alto dell’ambone; il sacerdote lascia srotolare la pergamena, le cui immagini essendo inserite capovolte rispetto alla parte scritta, risultano visibili ai fedeli, in modo da educarli alle Sacre Scritture.

Cristo in trono, dall’Exultet del Duomo di Bari

Si tratta di testimonianze dall’alto valore documentario, non solo in ambito religioso, letterario e artistico, ma anche dal punto di vista musicale, in quanto in questi rotoli sono contenute antiche notazioni che preludono alla nascita del pentagramma.

Ben noto è l’Exultet del Duomo di Bari, realizzato all’incirca nel 1030 e decorato da fini illustrazioni in cui l’eleganza degli stilemi bizantini si coniuga alla vivacità espressiva italiana.

Un altro esempio di genere pittorico diffuso in età romanica è quello dei dipinti su tavola; pale d’altare, pannelli, piccole tavole devozionali e grandi croci lignee si sviluppano maggiormente in Toscana e in Spagna, dove si elaborano nuovi modelli espressivi, che riscontreranno gran favore in età gotica.

Particolare importanza assume la croce dipinta, che isola l’evento del Cristo crocifisso. Questa soluzione iconografica conoscerà una larga diffusione, fino a determinare l’identificazione della croce come simbolo del martirio del Salvatore, nonché del credo cristiano.

Due sono le tipologie di riferimento: il Cristo trionfante (Christus triùnphans) e il Cristo sofferente (Christus patiens). La prima risale agli inizi del XII secolo e celebra il concetto di Resurrezione come vittoria sulla morte. Il Cristo è raffigurato con corpo e testa eretti, occhi ben aperti e piedi leggermente divaricati, senza riferimento alle sofferenze del martirio. Il secondo modello, più tardo, mette in evidenza la sofferenza fisica del Figlio di Dio, che viene rappresentato con il capo abbassato e gli occhi socchiusi, per presentare una condizione più vicina alla natura umana.

Un esempio di Christus triunphans è dato dalla croce firmata da Maestro Guglielmo nel 1138 e oggi conservata nella Cattedrale di Sarzana. L’opera, se pur rimaneggiata nel tempo, conserva la sua caratterizzazione d’origine, ispirata a quel senso di ieratica irrealtà d’ascendenza bizantina: il Cristo, per la prima volta coperto soltanto da un perizoma, appare ben dritto, venendo anche meno alla legge di gravità, mentre il suo volto non esprime alcun intento emotivo.

Il modello del Christus patiens si affermerà maggiormente in età gotica. Uno dei primi esempi, ad oggi, risale all’incirca al 1210 ed è opera di un anonimo maestro bizantino, attivo in area toscana.

L’artista, pur restando fedele agli stilemi della sua cultura di provenienza, si apre al contempo a una direzione più innovativa, svincolata dalla rigorosa visione frontale dell’immagine e segnata da una più sentita espressività. Si profila così un nuovo percorso, che raggiungerà alti sviluppi nelle grandiose espressioni pittoriche dei secoli successivi.

Mariaelena Castellano

PER SAPERNE DI PIÙ …

(*) LA TEMPERA  SU TAVOLA

Sin dai tempi più antichi, il supporto del legno è stato impiegato anche per un uso pittorico. In Occidente, questa tecnica si sviluppa maggiormente in età medievale, raggiungendo alti esiti a partire dalla fase romanica.

La tipologia di legno viene selezionata in base alla reperibilità: in Italia, per esempio, si predilige il pioppo.

In genere, la tavola si ricava dall’unione di più assi lignee, che vengono poi sagomate. I profili più diffusi sono quello rettangolare, centinato (conclusa con un semicerchio), cuspidato (termina a punta) e cruciforme.

Una volta impostata la forma, si procede con la stesura di una tela di lino su cui si riversano vari strati di colla e gesso, che vengono ben levigati, prima di procedere all’inserimento di un ultimo strato più sottile.

Si passa così alla realizzazione del disegno preparatorio, inciso attraverso uno stilo metallico.

Per la colorazione si utilizza la pittura a tempera, ricavata da pigmenti a base minerale e, talvolta, anche vegetale, che vengono “temperati”, ovvero diluiti in acqua con l’aggiunta di colla o tuorlo d’uovo.

Infine, la tavola viene rivestita da una vernice trasparente, che oltre a conferire un effetto di lucidità, garantisce una maggiore conservazione nel tempo.

DENTRO L'OPERA

Affreschi di San Michele Arcangelo a Sant’Angelo in Formis  (presso Capua) – 1072-1086

La Basilica di San Michele Arcangelo, nella località di Sant’Angelo in Formis, faceva parte di un monastero benedettino collegato al l’Abbazia di Montecassino. Fu proprio l’abate Desiderio a commissionare la realizzazione della decorazione ad affresco della chiesa, come attesta un’epigrafe all’ingresso.

Si tratta di uno dei più vasti esempi di pittura romanica, il cui ricco programma iconografico, con ogni probabilità ideato dall’abate cassinese, risulta incentrato su un messaggio di salvezza, indicato da articolati cicli di Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Tra le scene spicca quella ampia e monumentale realizzata nell’abside maggiore e distinta in due registri. Nella parte superiore la gigantesca e solenne figura del Cristo in trono sovrasta  i personaggi della fascia inferiore: al centro l’Arcangelo Michele circondato da due angeli, mentre  ai lati si distinguono le figure dell’abate Desiderio e di San Benedetto, il fondatore dell’Ordine.

Gli affreschi risentono sicuramente dei modi ieratici bizantini, ma non sono esenti da un gusto più incline al naturalismo e a una maggiore libertà creativa. Queste considerazioni lasciano supporre che essi siano stati realizzati da maestranze italiane e non orientali.